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Un padre
Un padre morituro scrive al figlio che non vedrà crescere oltre, con l’intento di lasciargli una più marcata conoscenza di sé, quella che la vita avrebbe potuto concedere se non ci fosse stato il divario anagrafico a separarli. John Ames ha 76 anni, il figlio appena sette. Il suo testamento letterario si trasforma in un bilancio della propria esistenza fatta di storia familiare, di rapporti interpersonali, in un ripercorrere eventi, emozioni, limiti individuali tendenti quasi a ridimensionare la memoria che la sua morte invece consegnerà al figlio con la complicità della comunità di Gilead della quale egli è il pastore.
Gli preme pertanto evidenziare le delicatezza dei rapporti in seno alla famiglia, raccontare del suo rapporto con il padre e ricordare il nonno, figura rasente quasi il mito, le difficoltà attraversate a causa delle lacerazioni apparentemente create da figli dissidenti, e non solo per motivi religiosi, e fomentate dalla rigidità dei padri in un eterno scontro generazionale. Fratture che portano a partenze e a ritorni ma anche a prematuri e necessari abbandoni. Parla al figlio del suo primo matrimonio e del duplice lutto che lo colpì, morte moglie e figlioletta in seguito al parto, della conoscenza della sua Lila , la sua mamma appunto, e della sua prima esperienza di genitorialità vissuta in modo indiretto con il figliolo ribelle del suo più caro amico consegnatogli come figlioccio.
Tutto lo scritto è scandito da pause narrative coincidenti con il sonno, riaprono la narrazione la descrizione del risveglio e del riposo stesso , faticoso e disturbato nell’anziano, dando modo di prendere coscienza quotidianamente della difficoltà del risveglio stesso mentre la mente sta, nel tempo dilatato di questo limitare di vita, concedendosi alla rivalutazione del proprio vissuto, riappropriandosi di una lettura più lucida e coerente del proprio vissuto, quella che non è concessa mentre si vive.
I genitori, l’amicizia, la religione, i luoghi della vita, la luce negli occhi di chi sa vedere, la lettura del mondo, le delusioni, i limiti personali, la possibilità di sperimentare amore si sono impressi nella mia memoria a sintesi di questa lettura densa di riflessioni personali. È stata anche un’occasione conciliante una più serena e proficua rivalutazione della mia esperienza religiosa molto limitata e purtroppo limitante ogni qual volta si scontra con sovrastrutture che fatico ad accettare. Il messaggio evangelico mi appartiene e questo libro me lo ha ricordato insieme alla grande sfida che esso contiene: essere disponibile all’amore. Mi è piaciuto perché infonde speranza all’insegna della grazia e della gratitudine assolvendo il limite che non necessariamente coincide con la cattiveria.
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