Dettagli Recensione
soli ed infelici
“Essere felici è un talento. Non puoi essere felice in amore se non hai un talento per la felicità” (p. 124)
Ma in cosa consiste questo “talento”?
Diciotto personaggi raccontano in prima persona un frammento delle loro esistenze: istantanee in cui, attraverso un aneddoto o una breve riflessione, rivelano cosa vorrebbero dalla vita per godere di un attimo di felicità. Racconti che, a seconda di chi parla, risultano lucidi, deliranti, comici, onirici, drammatici ma da cui, sempre, emergono profondi disagi esistenziali, aspettative mancate, tradimenti. Un oncologo di chiara fama, un noto banchiere, un'attrice da copertina, un giornalista, la segretaria di uno studio medico, un autista, un'anziana malata di cancro, la madre di un giovane psichiatrico sono solo alcuni dei numerosi soggetti che, come le tessere di un puzzle, danno vita ad un disegno unitario. I protagonisti sono infatti tutti legati tra loro da parentele, amicizie o rapporti clandestini e svelano, nelle loro confessioni, aspetti nascosti di se stessi o degli altri personaggi; ognuno ha, infatti, una doppia vita: quella di facciata, all'apparenza moralmente ineccepibile, e quella segreta, in cui soddisfa desideri e perversioni. Ognuno cerca di colmare un vuoto esistenziale nel vano tentativo di riempire la propria solitudine usando gli altri senza curarsi della sofferenza che inevitabilmente ne deriva. Coppie senza complicità, frustrate dalla monotonia, logorate da silenzi eloquenti che inducono a cercare nel tradimento una illusoria via di scampo.
Esiste, dunque, una ricetta per essere felici?
Solo due personaggi, l'anziano Ernest Blot e il suo nipotino di nove anni, Antoine, il primo provato dalla malattia e consapevole dell'esaurirsi dei suoi giorni, l'altro ancora incontaminato dalle brutture dell'esistenza, sembrano aver intuito la formula alchemica: “Ecco il segreto, ha detto Ernest, questo bambino l'ha capito, ridurre al minimo le pretese di felicità.” (p. 16)
E il vecchio Ernest, a differenza di tutti gli altri, non ha che un unico desiderio: essere cremato e far sì che le proprie ceneri siano disperse nel fiume dove già furono sparse quelle di suo padre.
“Le cose sono fatte per svanire. Me ne andrò senza storia. Non troveranno né bara né ossa. Tutto continuerà come sempre. Tutto se ne andrà allegramente nella corrente.” (p. 63)
Dopo aver letto Babilonia, mi ero ripromessa di approfondire la conoscenza di questa autrice che mi aveva colpita per l'arguzia, l'ironia e la profonda malinconia che avevo colto ed apprezzato nel suo libro. “Felici i felici” non ha però sortito lo stesso effetto: all'inizio mi è sembrato interessante ma poi, andando avanti, mi ha stancata e delusa. L'idea dei personaggi che si presentano è buona, ma diciotto storie da seguire sono davvero troppe. Inoltre alcune figure e le loro vicissitudini mi sono parse piuttosto insulse se non addirittura irritanti. Le riflessioni dell'autrice sulla vita e sulla felicità (o meglio sulla infelicità) sono ciniche e pessimiste: l'amore non esiste, è solo un inganno; il sesso, per essere appagante, deve avere il gusto del proibito; il matrimonio è un'istituzione mortificante che per funzionare implica la falsità tra i coniugi che si tradiscono ad ogni occasione. Anche le amare conclusioni sul senso dell'esistenza, ridurre al minimo le aspettative ed augurarsi il dissolvimento, mi sono sembrate alquanto deprimenti. Insomma, francamente mi aspettavo qualcosa di meglio, o forse non ero dell'umore adatto per apprezzare lo spirito dissacrante dell'autrice. “Felici i felici” è comunque un libro ben scritto, prosa scorrevole, a tratti molto sciolta (frequente il discorso indiretto libero), ma con qualche volgarità di troppo per i miei gusti.