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Se...
C’è tanta vita in questo romanzo, c’è tanta biografia fra queste righe, c’è infine tanto disincanto. Non solo quello dell’uomo, il giudice protagonista, che pragmaticamente consegna la sua esistenza al reale, al tangibile, trascurando il sogno, ma anche quello di un autore e di un grande artista che è riuscito a calare il suo dissidio interiore, strettamente correlato al suo essere ungherese ma prima ancora austroungarico per divenire poi un esule senza patria.
Quando nel ’35 scrive questo romanzo Marai , nato piccolo nobile per concessione feudale da parte di Leopoldo II, figlio di un notaio reale, maggiore di quattro figli, è già stato giornalista gravitando per studi e per affetti a Berlino e poi per lavoro a Parigi ma patendo disagi economici legati al primo dopoguerra. Tornato nella sua terra nel 1928, a ventotto anni non ha più la patria: si stabilisce a Budapest per essere paradossalmente esule in casa: la sua Košice, alta Ungheria , era al’interno di quei territori persi col Trattato di Versailles. Scrive tra il ’28 e il ’48 e si impone nella vita letteraria ungherese, vive grandi soddisfazioni fino a quando la Storia non lo schiaffeggia di nuovo e allora propende per un volontario esilio che risolve solo la caduta del muro di Berlino quando ormai lui si è già tolto la vita.
Kristof Komives, giovane giudice è alle prese con l’ennesima pratica di divorzio, il giorno dopo ancora una volta separerà il legame indissolubile sancito da Dio, tra mille dubbi stavolta amplificati dalla conoscenza dei due coniugi: lui un ex compagno di scuola, lei una fugace meteora nell’universo emotivo del giovane Kristof.
Komives rappresenta la vecchia nobiltà magiara e benché non abbia ancora quarant’anni è rinomato per la sua rettitudine, la sua moralità ma in generale per una serietà che non gli permette di cavalcare i nuovi tempi, una società nevrotica, immatura, incapace del sacrificio della vita vista come “un dovere che dobbiamo adempiere; certo un dovere gravoso e complesso , per il quale a volte è necessario sopportare sacrifici”. È la volontà che lo anima e che può aiutarlo a reggere l’insostenibile, ma la vita è davvero insostenibile o occorre solo una necessaria probità? Svolge il suo ruolo con chiaro intento pedagogico contro una civiltà motorizzata, gaudente, immorale quasi. Lui sa quale è stato il prezzo, non è forse morto suo padre che credeva alla Patria “espressione più alta del concetto di famiglia” , l’animo lacerato per la sua disgregazione e l’intermezzo comunista?
È sposato Kristof, una moglie , due figli, vive e lavora a Budapest e una notte dal passato ritorna il suo ex compagno di studi, il povero diventato medico, il giovane che ha sposato Anna e che ora da lei si sta separando. Viene durante una lunga notte a dire che domani l’udienza non avrà luogo … va via dopo un colloquio anticipatore di quel famoso rincontrarsi che sarà rappresentato in “Le braci”, vuole solo ottenere una risposta …
Bello questo romanzo che permette di avvicinare la biografia dell’autore - è necessario a questo punto leggere “Terra!...Terra!...Ricordi” - e che è permeato di storia e ancora che è capace di avvincere il lettore avviluppandolo in interrogativi le cui risposte potrebbero insinuare il dubbio, il sentimento del se e del ma, inutile e doloroso.
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Ora non vedo l'ora di scoprirne un altro.
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