Dettagli Recensione
Il palcoscenico dell' identita' perduta
Questo romanzo (del 1992 ) di Dag Solstad possiede il respiro di atmosfere e cadenze profondamente nordiche.
Bjorn Larson, il protagonista, è un cinquantenne ( gli stessi anni dell' autore quando scrisse il testo ) sprofondato in una paralisi identitaria acuita dalle difficoltà del presente.
Anni prima, inseguendo il respiro della giovinezza, sospinto non dall' amore, ma dal soffio dell' avventura e della seduzione, aveva abbandonato moglie e figlio per trasferirsi a Kangsberg, piccolo centro nel cuore della Norvegia e convivere con Turid Lammers, fioraia, insegnante di lingue, ai suoi occhi donna fatale, eterea, flessuosa.
Bjorn ha una laurea in economia, è da sempre un impiegato ministeriale, considera il proprio lavoro un male necessario, ama arte e letteratura, che coltiva nel tempo libero, e, pur di inseguire istinti e desideri, diviene un esattore comunale.
Per quattordici anni trascorre i propri giorni nel terrore costante di rimpiangere tutto, nella consapevolezza che Turid non puo' essere la felicità ne' l' amore ma solo un' avventura, che tutto era già finito sin dall' inizio e che lei, ammagliante regista di operette teatrali inscenate con la propria compagnia dilettantistica ( di cui Bjorn è parte), non prenderà mai altra direzione se non restare dove è brillando di passato e ricordi.
Quando la freschezza sfiorita e la morbida bellezza lasceranno tracce indelebili sul viso e sul corpo dell' amata mostrando il ricordo di qualcosa che si è perduto per sempre, Bjorn, smarrito, incatenato, affranto, deciderà di lasciarla e vivere solo, immergendosi in routine ed ipocondria.
Inizierà una frequentazione medico-paziente con il dottor Schiotz, figura enigmatica con la quale discutere di vita e patologie con una strana e pazza idea nella testa.
Un giorno riapparirà il figlio Peter, studente di ottica, così simile a lui ma con appiccicata addosso un' aura di sfrontatezza ed irriverenza tipica della sua età . Bjorn sara' costretto ad una convivenza forzata, pensando a quella paternità mai appartenutagli tra dubbi, quesiti, affetto e benevolenza. Ma chi e' realmente Peter, come trascorre i giorni e le notti, perché ha così pochi amici?
L' effettiva distanza emotiva dal figlio e l' impossibilità di addentrarsi in un universo enigmatico ( la contemporaneità e la gioventù ), genereranno ulteriore vuoto e rassegnazione, fino a quel viaggio ( per lavoro ) ed alla decisione ( spiazzante per il lettore ma da tempo programmata dal protagonista ) che ne stravolgerà l' esistenza, un risoluto no al mantenimento dello status quo per ridisegnare il proprio destino ed opporsi ad un reale insoddisfacente.
Ma cosa nasconde questo punto di non ritorno? Nessuna risposta, se non quel male di vivere in lui da sempre latente, il terrore del tempo che passa, un senso di vuoto e di inutilità, il rifiuto di qualsivoglia realtà vera o presunta, il desiderio di un ritorno al passato e di rivedere i volti cari ( Turid Lammers ), una scelta di vita ponderata, forse solo follia.
Il pensiero ritorna al fallimento della propria rappresentazione teatrale de " L' anitra selvatica " di Ibsen, inscenata parecchi anni prima, rivissuta oggi con rinnovato smarrimento ed un senso di fallimento personale, nonostante l' apparenza di un lavoro decoroso e di una vita soddisfacente.
Non resta che compiere un gesto estremo, per essere finalmente protagonisti, o defilarsi definitivamente, inscenando il dramma della propria vita.
Ma siamo sicuri che questo nuovo essere ci appartenga, e non sia una presa di posizione da rigettare, o la recita di un copione scritto da altri, o la sintesi di ciò che ci caratterizza ed a cui vorremmo iniziare le persone più care?
Ed allora quale destino si compie? Quale verità? È possibile redimersi, dimenticare, ricominciare? E chi siamo realmente, noi stessi o la maschera della nostra assenza d' identità?
Tra le pagine e nel lettore un dubbio rimane ( e forse è giusto così), ma in primis nel protagonista.
Un testo dal profumo intensamente nordico, dalle cadenze lente, rarefatte, descritte con sguardo asettico, scene e figure grottesche, assurde, un surreale vestito di realtà ed un profondo senso di alienazione che riporta ai temi di Ibsen.
La ricca ed efficiente Norvegia, con un apparato sociale e burocratico ( di cui Bjorn è parte) che funziona egregiamente, mostra tutta la propria fragilità espressa in profondi vuoti esistenziali e personali.
Quando l' autodeterminazione sembra avere la meglio indirizzando il proprio cammino ( almeno all' apparenza ), in realtà continuiamo ad ignorare verità e desiderio, di quale presente e futuro si parli, se non di una voragine di mistero irrisolto.
Come in Ibsen, la duplicità tra esistenza e propria rappresentazione, quel male di vivere che sfocia nella ricerca di autenticità, si scontra con l' impossibilità che essa possa essere raggiunta e svelata per la menzogna stessa di cui la vita si veste.
Un romanzo sui generis, da leggere cercando di entrare ( se ci si riesce ) nelle cadenze narrative e nelle cervellotiche riflessioni del protagonista, in significati ed azioni inizialmente sfuggenti, nascosti, ovattati, anche astrusi, enigmatici, solo in parte svelatisi nel fluire del racconto e che personalmente ho trovato non sempre brillanti e condivisibili ( anche per il senso ed il tema dello spiazzante finale ) tra pause, salti narrativi, staticità, meditazione eccessiva e protratti silenzi.
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Conosco l'autore per aver letto "Timidezza e dignità" , che mi è piaciuto abbastanza. Amo molto, in questo periodo, la letteratura nordica : presenta molti autori, anche contemporanei, di grande valore letterario. Un grazie alla Casa Editrice che li pubblica, spesso con ottime traduzioni.