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FIORE DI SERRA
In astinenza da Kate Morton, ho cercato qualcuno che potesse riempire il tempo tra un suo romanzo e l’altro. Sono così incappata in Lucinda Riley, che scrive libri di genere simile.
Parliamo di segreti di famiglia che vengono a galla dopo decenni, portando alla luce scioccanti verità che i postumi hanno la curiosità di scoprire.
In questo caso, la protagonista del tempo presente è Julia, una povera giovane donna che subisce più traumi lei in circa due anni di quanto qualunque altro essere umano possa sopportare in una vita intera.
Julia infatti subisce un’iniziale dolorosissima perdita che la porterà a rifugiarsi in un piccolo cottage deprimente nel Norfolk, vicino a dove abita sua sorella Alicia con la sua numerosa famiglia (il marito Max e i loro quattro figli), il padre George e la nonna Elsie.
Alicia cerca in tutti i modi di risollevare il morale della sorella e un giorno Julia decide di assecondarla seguendola a Wharton Park, la magnifica ma ormai decadente villa dove da piccola aveva trascorso molto tempo per via del lavoro di giardiniere del nonno Bill (marito di Elsie). La villa è infatti in procinto di essere messa in vendita, molti degli antichi oggetti in essa custoditi sono stati messi all’asta e Alicia vorrebbe trovare un regalo di compleanno per George.
È durante l’asta a Wharton Park che Julia incontra dopo tanti anni Kit Crawford, l’affascinante attuale erede della tenuta.
Kit consegna a Julia un vecchio diario di guerra che presume sia di suo nonno Bill e da questo momento la giovane donna inizia a superare il trauma subito, scoprendo le vere radici della sua famiglia grazie ai racconti della nonna Elsie, cameriera personale dell’ultima Lady Crawford che aveva vissuto nella tenuta.
Detesto quanto i titoli originali vengono stravolti. In questo caso, sembrerebbe che questo giardino della tenuta sia fondamentale, ci vien da pensare che tra i sentieri nascosti dalle siepi avvengano incontri illeciti, si nascondano baci rubati e relazioni inopportune. Invece il giardino è nominato solo per la serra delle orchidee, dove sotto gli assi del pavimento erano nascosti il diario di guerra e una segreta corrispondenza. In inglese il romanzo è intitolato “Hothouse Flower” (= Fiore di Serra), decisamente più appropriato, perché il fiore di serra citato non è solo un’orchidea, ma anche una metafora che spiegherà tutto l’intrigo familiare.
Cosa non mi è piaciuto:
- Il diario è solo un pretesto che fa sì che Elsie racconti l’intreccio familiare a Julia, dopodiché non se ne sente più parlare. In realtà, non viene neanche spiegato perché mai fosse nascosto dove Kit lo ha trovato.
- La relazione tra Kit (che oltretutto è inadeguatamente definito “ribelle” nel trafiletto del romanzo, ma a me tutto è sembrato tranne che ribelle…) e Julia mi pare che si sviluppi troppo rapidamente, soprattutto considerando la condizione di lei.
- Dialoghi strapieni di “tesoro” che rendono le conversazioni talmente smielate da farmi alzare gli occhi al cielo. Forse sarò poco romantica, ma qui a me sembra che se n’è abusato.
- SALTATE QUESTO PUNTO PERCHÉ È UNO SPOILER, MA NON POSSO ESIMERMI DAL METTERLO! ! Il ritorno dall’oltretomba del marito di Julia mi è sembrato una trovata per allungare il brodo. E non mi è piaciuto come questo personaggio sia stato dipinto come un mostro… In pratica Julia non aveva capito nulla di suo marito, o non mi spiego come potesse amarlo. Il fatto che impieghi giorni (forse settimane, non ricordo sinceramente) per capire che perfida persona sia Xavier, mi ha fatto odiare Julia come non mai. Okay che è sotto shock per la millesima volta (credo che la parola “shock” nel libro ci sia ogni tre righe), ma santa miseria, come puoi non accorgerti di quanto sia crudele tuo marito???
- Il finale l’ho travato un tantino prevedibile e anche l’intrigo più o meno a metà libro era intuibile. Ero abituata a Kate Morton che mi intrecciava le idee fino all’ultima pagina!
- Le bastonate emotive che Julia riceve sono tantissime, mi chiedo come non sia andata in analisi.
- Non so se sia dovuto alla traduzione, ma i trattini al posto delle virgole in alcuni dialoghi mi sembravano fuori posto. Non servivano per delle incidentali, sostituivano proprio delle virgole. Es.: «Grazie madame – volevo dire signorina Olivia».
Detto questo, a dispetto di quanto possiate pensare, il romanzo mi è piaciuto. C’è forse poca indagine, nel senso che nei romanzi della Morton la protagonista dei nostri tempi indaga sul passato della famiglia in questione. In questo caso, Julia siede tranquilla in poltrona mentre Elsie le racconta tutto. Non è un puzzle in cui mettere a posto i pezzi, non ci sono informazioni frammentate da riordinare perché derivano da personaggi diversi, dove ognuno ha la sua versione dei fatti. In questo caso la storia è molto più lineare e se si fa caso a un piccolo dettaglio iniziale, la soluzione può essere raggiunta prima che Elsie ce la racconti.
Pur con qualche difettuccio, consiglio questo romanzo. Il paragone con Kate Morton mi è venuto spontaneo, ma forse non è giusto farlo. Semplicemente sono due modi differenti di approcciarsi a questo genere. La Riley è una lettura più disimpegnata e più lineare e ora sono curiosa di approcciarmi a un altro suo romanzo per verificare ancora il suo stile.