Dettagli Recensione
L'ultimo Zweig
Nel primo dopoguerra la buona società vive con atteggiamento orribilmente godereccio, eccessiva è l’allegria, vergognosa l’amnesia dell’orrore appena superato, pochi gli uomini risentiti per l’egoismo insito nelle scelte del singolo e delle Nazioni. L’Austria poi, ora Repubblica, ha da arrancare- ingabbiata in spazi ancora fastosamente richiamanti la grandezza dell’Impero- per mostrare a se stessa la superiorità dell’entità statale. Il povero se ne avvede ma ancor più il cittadino tradito dalla Storia, forse al povero rimane solo un tempo sempre uguale che lo schiaccia e lo immobilizza ancora di più, nel suo ruolo, nella sua miseria, nella sua disperata e inutile vita. Così è Christine Hoflehner, impiegata delle poste in un piccolo paese a due ore da Vienna. Vive con la madre malata in una piccola stanza, mai uno svago, mai una vacanza, fortunata più di altri per via dell’impiego statale riconosciutole più per intervento dello zio paterno che per riconoscimento dello Stato al sacrificio della sua famiglia: morti in tempo guerra padre e fratello. Un telegramma inaspettato inviato da Pontresina, in Svizzera, la catapulta in un albergo lussuoso ospite della zia materna e del marito, spinta dalle insistenze della vecchia mamma malata. Vi giunge del tutto inconsapevole e impreparata, il divario sociale è inimmaginabile, a priori non la sfiora il sospetto di essere del tutto inadeguata con le trecce, la borsa di paglia, il cambio ridotto al minimo, l’incedere modesto e insicuro: tutto tradisce povertà. È abile Christine ad adeguarsi al nuovo mondo, a dimenticare la sua origine, è giovane e riesce in un tempo brevissimo a diventare un’altra, scoprendosi finalmente bella e libera. Gli agi dell’albergo, ripetutamente rappresentato come un microcosmo alienato e fine a se stesso, il lusso, la gioia superficiale della ricchezza, le riempiono la vita e la inebriano di estasi di libertà. Tutta la prima parte del romanzo, davvero gradevole e tale da chiedersi se l’abbia scritta il nostro caro, disilluso e risentito Zweig, rappresenta questa metamorfosi, un sogno pari a quello vissuto da Cenerentola. Con la seconda parte si assiste invece allo scoppio della bolla di felicità ma soprattutto di libertà, essa è per tutto lo scritto associata solo alla serenità finanziaria, a quella condizione che ti permette di vivere senza essere schiacciato dall’esistenza stessa che reclama pane dove c’è fame , abiti quando c’è freddo. Christine viene presto espulsa dal bel mondo che non le appartiene per tornare al suo punto di origine che , prima della guerra, non era affatto mortificante. La sua vita è nuovamente immobile, impossibile qualsiasi avanzamento di status sociale, rancorosa e arrabbiata, le è impossibile vivere oltre in quella miseria umana, ha ora una consapevolezza pericolosa che meglio che il povero non abbia. Nella seconda parte l’incontro con Ferdinand Farrner aprirà nuovi scenari … non anticipo oltre perché la chiave di lettura è proprio in questa sezione. Qui la penna si fa matura, graffiante, amara facendo emergere una visione disincantata, un vero atto di accusa contro l’Austria e al contempo contro ogni entità statale; come non mai un personaggio riflette il sentire del suo creatore, proietta le sue amarezze, le sue prospettive , le sue illusioni. Lo scritto risente sicuramente della sua pubblicazione postuma, del suo assemblaggio posticcio, della sua mancata revisione benché sia stato rivisto per renderlo pubblicabile come uno scritto compiuto, eppure è bello, e prezioso perché restituisce Zweig già pellegrino del mondo, senza patria, senza speranza, già condannato dalla sua insofferenza.