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I quarantuno colpi
 
I quarantuno colpi 2017-05-24 16:23:43 68
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68 Opinione inserita da 68    24 Mag, 2017
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Ossessione carnivora e desiderio di purificazione

Luo Xiatong è un bambino spensierato, vissuto e cresciuto con il mito della carne, di cui è fan devoto e consumatore instancabile, tanto da considerarlo un proprio particolare talento.
È originario del villaggio dei macellai di professione, e, sin dalla culla, ha posato il suo sguardo su carne viva ed animata, morta ed inerte, pulita, insanguinata, fumigata, infiltrata d' acqua, appartenente ad ogni genere di animale.
Per lui diviene presenza costante, ossessiva, una creatura viva e parlante della quale scrutare i movimenti, ascoltare la voce, apprezzare ed assaporare gusto e profumo.
Ha vissuto una storia famigliare di sofferenza che lo ha privato del consumo di carne per ben cinque anni, una vera tragedia per un bimbo sottratto al proprio amore viscerale, e la colpa non sta nell' assenza di materia prima, ma nella frugalità della madre, novella pater familias, improvvisamente abbandonata dal marito per una donna di facili costumi.
A distanza di dieci anni, ormai ventenne, nei primi anni ' 90, Luo Xiatong, rovinata e dissolta la propria vita, ridotto in assoluta povertà, costretto ad elemosinare, privo di affetti, sogni, speranze, decide di cambiare indirizzo per farsi monaco buddista discepolo del Grande maestro Lan.
Rifugiatosi in un tempio abbandonato, rievocherà la propria storia in un monologo irrefrenabile intriso di cruda realtà, sadismo ed umorismo viscerale.
La sua è una confessione-redenzione, l' espiazione dei propri atroci peccati alla ricerca di una via salvifica, più semplicemente il racconto di una lunga storia inserita in quella che ha consegnato la Cina alla modernità.
Cresciuto nel villaggio dei macellai, le continue carneficine hanno annientato in lui il concetto di uguaglianza tra le creature viventi, ma ora il non uccidere è divenuto uno dei capisaldi della propria confessione.
Una vita segnata dall' abbandono paterno, dal suo pentimento e ritorno, dalla furia cieca della gelosia, dal desiderio di ricchezza e potere di Lao Lan, capo del villaggio, dalla cessazione della produzione artigianale e del consumo locale a vantaggio della costruzione di una grossa fabbrica per il trattamento e la vendita della carne a livello industriale, di cui Luo Xiatong, genio precoce, viene nominato direttore.
Vicende pubbliche e private si intersecano, tra ingordigia, astio famigliare, amoralita', corruzione, crudeltà, vendetta.
I " 41 colpi " è palesemente un testo allegorico ( del 2003 ) che si nutre e tratta in ogni dove di un unico elemento, la carne, considerata sommo e irrinunciabile bene di consumo, ignorando cinicamente il senso dell' esistenza, la sofferenza, la tortura e l' ininterrotta carneficina nei confronti del regno animale.
In realtà si parla di molto altro, di una terra dai profondi cambiamenti storico-culturali, governata dalla massificazione e mercificazione dell' oggi, di un mondo contadino famigliare, tradizionale, conservatore, patriarcale, con tratti feudali, in cui il consumo della carne è sinonimo di benessere e si muore intossicati dal botulino. Si affrontano vicende e complesse relazioni private, inserite in un profondo desiderio di redenzione ed autocritica, risvegliando una dimensione purificata dell' esistenza.
C'è la denuncia di metodi produttivi letali utilizzati dalla grande industria globale ( l' imbottire la carne di acqua, medicinali, antibiotici, ormoni ), di una violenza cieca ed indifferenziata, del consumismo acritico e smodato ( da parte degli esseri umani ), della forbice sempre più allargata ricchezza-povertà, insomma di tutti i mali della contemporaneità.
Come nel " Paese dell' alcool " anche qui l' eccesso è sinonimo di distopia, e quelle infinite ed insaziabili abbuffate di carne, fino alla nausea, al vomito, alla contorsione delle budella, inscenano un disgustoso e smodato edonismo, una crudeltà inspiegabile ( si pensi alle gare tra i maggiori mangiatori di carne ) condita da odori acri e sapori pungenti.
Per contro si respira la soave leggerezza di un mondo monastico e spirituale che si nutre di attimi, di bellezza, lievita', digiuno, ascolto, silenzio.
Al di fuori del tempio ( nel presente ) a sua volta viene inscenata una fiera della carne, si alternano figure mitologiche, bizzarre, un variegato e stupefacente universo carnevalesco, tra fantasia, sogni e ricordi svaniti in dolori e gioie soffuse, ma forse è solo una tentazione che ritorna o una estrema prova di sopravvivenza.
Luo Xiatong racconta, si commuove, soffre, impara, rivede e reinterpreta la propria storia, dopo dieci anni, con tutti gli errori ed orrori commessi, desiderando evadere da un mondo ormai ossessionato dal solo desiderio.
Tra le pagine tocchi di poetica sublime, tra aspre e crude descrizioni d' insieme.
Di certo Mo Yan rimane un narratore d' eccellenza, e ce lo mostra, in quella continua sospensione tra sogno e magia, realtà e satira, alternando e miscelando mondi complessi, riuscendo comunque nel proprio intento, anche se quel tema ripetuto ed ossessivo ( la carne ) sbandierato in ogni dove ed in tutte le salse finisce per essere stomachevole e nauseabondo ( convertendoci definitivamente ad un ideale vegetariano ).
L' autore ci consegna una riflessione ragionata e critica dell' oggi con vista sul passato in un romanzo di grande coralità e tratti di indiscutibile bellezza.

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