Dettagli Recensione
ATTENZIONE! MANEGGIARE CON CURA!
Approcciatevi alla lettura di questo libro con molta delicatezza. Entrateci in punta di piedi.
Alla fine di questo viaggio vi sentirete diversi, con una consapevolezza nuova verso il mondo che ci circonda e gli esseri che lo abitano. Penserete: in fondo ciascun libro, al suo epilogo, ti lascia qualcosa dentro. È vero, non lo nego. In questo caso, però, l'impatto è forte, tanto forte.
La scrittura di McCarthy è di fronzoli, è "pane al pane, vino al vino", non prevede descrizioni e dettagli che, a volte, possono risultare estenuanti e smorzano il ritmo della narrazione. Non ci sono sfumature nel suo modo di vergare: o è bianco o è nero.
In questo caso è tutto nero, il buio pesto cala come un manto su una cittadina americana, colpita da una catastrofe. La gente del luogo è stata decimata quasi totalmente. È come se la catastrofe avesse spostato l'asse temporale fino all'era primitiva, dove governano gli istinti, soprattutto quello di sopravvivenza. I pochi sopravvissuti sembrano viaggiare a ritroso nel tempo e ne tornano cannibali. Vagano in cerca di vite umane da spezzare per poi nutrirsi dei loro corpi straziati. Che siano adulti o bambini, non fa differenza.
Solo un padre e il suo bambino conservano un animo buono e affrontano l'impervio paesaggio tra pioggia, neve, freddo, fame e febbri da cavallo, stando accorti a nascondersi dai cannibalj nei boschi. Frugando nelle case ormai disabitate, tentano di racimolare cibo, coperte, indumenti, teli di plastica e un po' di benzina per accendere il fuoco. Raccolgono il tutto in un carrello del supermercato.
La natura della catastrofe non viene specificata, l'uomo e il bambino non hanno un nome. Queste omissioni non tolgono alcun valore alla storia.
Vi ho consigliato di entrarci in punta di piedi, perché, è inutile nasconderlo, questo è la disperazione fatta libro. Avrete l'esigenza di sospendere per un po' la lettura, perché farà troppo male, perché vi sembrerà di ingoiare tanti piccolj pezzetti di vetro, perché alcune immagini sono davvero crude.
Vi chiederete se mai arriverà qualche spiraglio di luce in tutta quella cenere, in quel mondo monocromatico. La luce arriva, ma a piccole, piccolissime dosi e sarà come respirare ossigeno a pieni polmoni dopo un tentativo di soffocamento.
Fate attenzione al bambino, fate attenzione ad una frase che l'uomo pronuncia parlando del figlio: "Se non è lui il verbo di Dio, allora Dio non ha mai parlato."
Vi ci imbatterete nelle prime pagine, ma l'apprezzerete fino in fondo solo alla fine.
Il bambino è la chiave, è l'oasi nel deserto, è "colui che porta il fuoco", è il simbolo di una speranza che ancora non si è spenta. Non posso dirvi altro su di lui. Rischierei di non farvi vivere a pieno questa esperienza, perché, si, questo libro è un'esperienza di vita, nella quale, ancora una volta, è un bambino ad indicarti la strada.
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Commenti
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Elena
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Personalmente, ho trovato il libro sicuramente bello dal punto di vista letterario, ma non rientra fra i libri che amo.