Dettagli Recensione
ringraziamento postumo
Breve romanzo autobiografico in cui l'autrice, alla morte del padre, ne rievoca le umili origini e la dura vita che lo ha visto passare dalle campagne alla fabbrica fino alla gestione di bar-alimentari in un piccolo centro della Normandia. Un uomo semplice, schivo, brusco, pieno di dignità e orgoglio, attivo, onesto, gran lavoratore. Un uomo che parlava francese, ma in modo talvolta sgrammaticato, che si esprimeva con la saggezza dei proverbi, che temeva di essere fuori posto e si sentiva inferiore di fronte alle persone importanti davanti alle quali preferiva non fare domande per “non mettere l'interlocutore in una posizione di vantaggio” . Un uomo intelligente, che in bicicletta portava la figlia a scuola, anche se la considerava “un universo terribile”, pur di consentirle di studiare fino a conseguire una borsa di studio, un'opportunità per lui incomprensibile, fornita dallo Stato “per girarsi i pollici”, ma finalizzata a “farsi una posizione e non sposare un operaio”. Annie, supportata dai genitori, raggiunge i suoi obiettivi: si laurea, si sposa con un colto borghese, ha un bambino, diventa professoressa di Lettere, proprio due mesi prima della morte di suo padre. Il definitivo distacco dal genitore la induce a riflettere, a scrivere, per darsi una spiegazione di quella distanza che si era creata durante l'adolescenza: “una distanza di classe, ma particolare, che non ha nome”.
“Mi sono piegata al volere del mondo in cui vivo, un mondo che si sforza di far dimenticare i ricordi di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto” (p. 68).
Annie, in un lungo e doloroso percorso, vuole invece far riemergere proprio ciò che il ceto borghese le ha fatto dimenticare; scava nella memoria nel modo più onesto ed oggettivo possibile, senza nulla aggiungere. Si sforza di ridare dignità a ciò che il mondo intellettuale le ha fatto giudicare “di cattivo gusto” nel vano tentativo di riallacciare un dialogo interrotto troppo presto, un'incomunicabilità generazionale resa ancor più aspra da un incolmabile divario culturale.
“Il posto” è il tributo che la Ernaux rende a suo padre, alla sua famiglia, alle sue origini, per “riportare alla luce l'eredità” che, entrando nel mondo del benessere e della cultura, aveva dovuto “posare sulla soglia”. La scrittura come estremo tentativo di espiare la colpa di aver voltato le spalle a chi ci ha messo al mondo, a chi ci ha dato la possibilità di essere diversi, migliori e magari anche più felici. Molto toccante, a mio avviso, il pensiero dell'autrice alla conclusione del libro, considerazione che rende omaggio ai sacrifici di una vita: “Forse il suo più grande motivo di orgoglio o persino la giustificazione della sua esistenza: che io appartenessi a quel mondo che lo aveva disdegnato”. (p. 106)
La prosa è asciutta, essenziale, scarnificata, volutamente piatta: “nessuna gioia di scrivere, in questa impresa mi attengo più che posso a parole e frasi sentite davvero (…) perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch'io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un'altra” (p.42)
Malinconico, sofferto, sincero; mi ha fatto riflettere su quanto, nel bene o nel male, dobbiamo ai nostri genitori, anche se non abbiamo il coraggio di ammetterlo.
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Commenti
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Elena
credo che questo libro meriti attenzione.
Grazie Elena
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