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omnia vincit amor
“Si è inventato tutto lui. I dettagli li ha presi da Holt, i nomi delle strade, i nomi della campagna e la posizione dei luoghi, però quella non è Holt. E i personaggi non esistono. (…) Si è inventato tutto.” (p. 131).
E' vero, Holt non esiste e Haruf si è inventato tutto. Eppure mi piace pensare che possa esserci davvero un luogo in cui due anime, al tramonto delle loro esistenze, si incontrano per parlare, vincere la solitudine, rielaborare i ricordi dolorosi del passato, affrontare le inquietudini del presente. Addie e Louis, vedovi settantenni, coraggiosa e vitale lei, “gentile e degno di stima” lui, la sera si danno appuntamento, bevono qualcosa e poi si stendono nel letto, mano nella mano, per raccontarsi, per sapere tutto l'uno dell'altra. Dalle loro parole, sussurrate nella notte, riaffiorano i lutti, i rimpianti, le incomprensioni vissute con i rispettivi coniugi e con i figli che hanno portato gioie, ma anche tante sofferenze. Gli incontri di Addie e Louis non si limitano però ad una rievocazione nel passato, al contrario; incuranti delle chiacchiere della gente, sprigionano una vitalità invidiabile: assetati di novità, vogliono ancora provare emozioni per non “diventare aridi nel corpo e nello spirito” (p. 132). Grazie all'arrivo inaspettato del piccolo Jamie, il nipotino di Addie, i due settantenni hanno modo di rivivere l'allegria di una giovane famiglia: adottano la cagnolina Bonny, fanno un campeggio in montagna, vedono le partite di softball, partecipano alla fiera annuale di Holt.
Addie e Louis costruiscono la loro relazione con pazienza e rispetto, senza fretta “abbiamo tutto il tempo che vogliamo” ripetono spesso: una frase che, alla loro età, sembra paradossale. Il tempo, però, è qualcosa di soggettivo, dipende da come lo trascorriamo, dalle persone con cui lo viviamo: notte dopo notte Addie e Louis creano un'intimità, una profondità nel loro rapporto che non avevano saputo (o potuto) avere con i rispettivi coniugi nei lunghi anni di matrimonio. Cosa rende questo rapporto così speciale? Leggendo, me lo sono chiesta più volte. Forse la consapevolezza di aver trovato una persona che non pretende nulla, che vive attimo per attimo, in piena libertà, accettando anche le imperfezioni e le debolezze dell'altro.
“Potresti stancarti di me e non volerne più sapere.
Se dovesse succedere possiamo smettere, disse lei. Questo è l'accordo tra noi, no? Anche se non ce lo siamo detti.
Sì, quando ti stanchi puoi dirlo.
Anche tu” (p. 117)
Libertà e rispetto, senza alcuna pretesa, accontentandosi di vivere solo il presente, mano nella mano per superare ogni ostacolo, le invidie e le maldicenze della gente, la gelosia di un figlio egoista, la lontananza forzata, anche solo per poter continuare a parlare, “Fin quando potremo. Finché dura.” (p. 162)
Dopo aver letto la trilogia, ho ritrovato anche in quest'opera la straordinaria abilità narrativa di Haruf, la sua prosa scarna ed essenziale, le sue frasi brevi, dirette, capaci di arrivare con semplicità ed immediatezza al cuore del lettore. Mi sono commossa leggendo questa storia, non tanto per quanto vi è narrato, quanto al pensiero di un autore che si sente pressato dal tempo, che deve dare alle stampe un'opera con qualche imperfezione (questo ci confida, in una nota, il traduttore Fabio Cremonesi) perché sa che la malattia, inesorabilmente, lo sta consumando.
“Potrebbe scrivere un libro su di noi. Ti piacerebbe? Non mi va di finire in un libro, rispose Louis.” (p. 131) ma Haruf, fortunatamente, non lo ha ascoltato e ci ha regalato un'altra splendida storia.
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Commenti
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Un giorno forse incontrerò Addie e Louis ed
allora sarà pure un po' merito del tuo prezioso biglietto da visita..
Grazie
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Ho appena iniziato questa lettura e, pur avendo letto solo poche pagine, credo che Haruf mi abbia già conquistato!