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la vita non è un sogno
Talvolta vale davvero la pena di finire un libro anche quando, arrivati oltre la metà, ci stiamo ancora chiedendo dove l'autore voglia andare a parare. L'ultimo capitolo di questo romanzo è infatti una vera boccata di ossigeno, una finestra che si spalanca sul mondo alla luce del giorno e il finale riscatta pagine e pagine pervase da una sensazione di cupa claustrofobia. Per essere un'opera del 1935 (poi rivista dallo stesso autore nel 1939) "Divorzio a Buda" credo abbia ancora molto da dire al lettore contemporaneo: superato lo scoglio iniziale di numerose digressioni un po' prolisse, alcune riflessioni e molti interrogativi colpiscono ancora oggi per l'acume e la profondità. L'incomunicabilità nella coppia, la gelosia, la frustrazione della routine di ogni giorno, il senso di inadeguatezza (di ansia, anzi, di panico) che ci assale in certi periodi della vita, l'estraneità nei confronti di tutto ciò che ci circonda in una ricerca di senso in quello che stiamo facendo: queste, ma non solo, le principali tematiche trattate. Cosa conta davvero nel bilancio di un'esistenza? Un ipotetico giovanile colpo di fulmine o una concreta vita di coppia fatta, talvolta, di incomprensioni e silenzi, ma anche di figli che devono andare a scuola e di un cane che scodinzola per casa? La risposta che dà Marai con questo romanzo si incarna nelle vicende nei suoi due personaggi principali: il giudice Kristof e il medico Imre, coetanei ed amici ai tempi del liceo. Entrambi sposati ed affermati professionisti, ma anche uomini profondamente in crisi, giunti a quello stallo esistenziale in cui ci si sente soli ed incompresi e ci si interroga su cosa sia davvero importante, se esista una formula per vivere senza soffrire. Dopo una lunga notte di confronto tra i due (a chi ha letto "Le braci" non sfuggiranno molte analogie) l'autore sembra dirci che siamo noi a dover scegliere tra la luce del giorno, ovvero tenere salde le redini del nostro destino aggrappandoci ai nostri valori, alla famiglia, agli affetti più cari e al lavoro, oppure restare nel buio della notte fatta di interrogativi sterili, paralizzanti e distruttivi. La vita è fatta di concretezza, non di sogni, di ciò che abbiamo e non di ciò che avremmo potuto avere, di ciò che è, e non di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Splendida l'immagine finale che ci apre alla vita e alla speranza: "Per strada si ode il fracasso del furgone del latte, poi gli uccelli attaccheranno con il loro cinguettio mattutino. Le case, nella luce piena del mattino, se ne stanno salde e imponenti al loro posto. La città, a quanto sembra, vivrà un'altra calda giornata d'autunno. La notte è finita; comincia il giorno." (p. 200)
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Anche a me il libro è piaciuto abbastanza. Marai ha però scritto di meglio : "Le braci" , "La donna giusta" ; "La sorella" , almeno.