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Il caso Malaussène
 
Il caso Malaussène 2017-05-07 08:32:26 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    07 Mag, 2017
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Bentornato Benjamin Malaussène..!!

“Io sottoscritto Benjamin Malaussène vi sfido, oggi, chiunque voi siate, ovunque vi nascondiate, quale che sia il vostro grado di indifferenza alle cose di questo mondo, a ignorare l’ultima notizia appena uscita, la notiziona che farà discutere la Francia e crepitare i social”: Georges Lapietà, uomo d’affari nonché ex ministro e consulente del gruppo LAVA, è stato rapito e sarà “restituito” al mittente soltanto a seguito della corresponsione della somma di Ventidue milioni ottocentosettemiladuecentoquattro Euro a titolo di riscatto.
Ma dove eravamo rimasti e da dove ripartono le vicende? Precisiamo innanzi tutto che il rapimento del politico è solo uno dei misteri che si susseguono nell’ultima opera di Daniel Pennac. Benjamin, che lavora ancora per le Edizioni del Taglione, casa editrice votata al vero e diretta dalla Regina Zabo, ha realizzato il suo sogno d’amore con Julie, figlia del governatore coloniale Correcon nonché giornalista d’assalto, e trascorre spensierato le sue vacanze nel Vercors ove è sita la casa di famiglia. Nei periodi in cui soggiorna a Parigi, ad accoglierlo vi è la vecchia ferramenta, luogo dove tutti i pargoli sono cresciuti. Verdun è diventata un giudice di grande fama e terrore specializzata nel diritto dello sport, mentre E’ un angelo, detta Nange, Maracuja, detta Mara, e il Signor Malaussène, detto Sigma, sono partiti con delle ONG per aiutare i popoli del quarto mondo (li riscopriamo, a tal proposito, rispettivamente in Africa, in Asia, in Sudamerica). Ed ancora, Rabdomant, commissario in pensione che vive nel sud della Francia, è stato sostituito dal genero Legendre e sta scrivendo il libro “Il caso Malaussène”, opera/trattato di filosofia del diritto che analizza l’errore giudiziario partendo dall’episodio Malaussène. Alceste, scrittore di punta delle Edizioni del Taglione, a sua volta sta scrivendo di nascosto in un fienile del Vercors un libro; un libro molto pericoloso (che ha già arrecato diversi problemi a lui e alla sua famiglia) dal titolo “Mi hanno mentito”. Ritroviamo ancora, inoltre, il cane Julius, di razza molteplice, di odore sostenuto e temperamento indipendente, che non sarà certamente il primo Julius nella vita dei Malaussène e neanche il secondo, eppure a guardarlo camminare sembra proprio lui…
Nato dalla penna di Daniel Pennac nel 1991, Benjamin Malaussène, torna in libreria con una nuova appassionante avventura. Una settima indagine, questa, che lo vede alle prese non solo con il mondo del crimine, non solo con il rapimento di Georges Lapietà ma anche con tutte quelle diavolerie di cui la modernità ha fatto voce portante. Ed è così che tra personaggi adulti ed invecchiati, colpi di scena ed ambientazioni straordinarie, il buon caro Malaussène dovrà vedersela con social, smartphone, talk show, scomparse, mazzate, forze dell’ordine e Giustizia che procedono mano nella mano in un contesto dove tutti mentono a tutti e reciprocamente, e chi più ne ha più ne metta.
Una settima investigazione non così scontata viste e considerate le ferme posizioni tenute dall’autore negli anni, posizioni che lo vedevano risolutamente convinto nel suo non voler proseguire le avventure di una della tribù più note al grande pubblico. Fortunatamente, per gli appassionati, il francese ha ceduto alle richieste e all’insistenza dei lettori che attendevano con desiderio il ritorno in libreria di questi multiformi protagonisti.
Con “Il caso Malaussène. Mi hanno mentito”, primo volume di una duologia, vi troverete di fronte ad un testo colorato, in continuo movimento, caotico; uno scenario ove la confusione regna sovrana. Irriverente, rutilante, e talvolta ai limiti del fuori tema, l’opera scorre rapida tra le mani dell’avventuriero conoscitore il quale, è condotto e guidato tra le vicende, da uno stile accattivante, teatrale, sfacciatamente goliardico.
L’enigma si articola grazie a tre protagonisti indiscussi: poliziotti, giudici e ladri. La trama si snoda quindi tra un giallo e un mistero (che fa acqua da tutte le parti) all’interno del quale si insinua Benjamin Malaussène, il capro espiatorio perfetto. In tutti i romanzi firmati Pennac ed aventi quali protagonisti questa strampalata combriccola (Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La Prosivendola, Signor Malaussène, La passione secondo Thérèse), infatti, tema centrale delle vicende era un’inchiesta in cui i bombaroli, i rapitori e i ladri puntualmente riuscivano a farla franca a spese di Benjamin e del suo essere sempre al corrente dei fatti, volente o nolente, a causa di quell’immancabile coinvolgimento determinato da quella turbolenta famiglia che ora ritroviamo cresciuta.
In conclusione, un testo dove il caos regna sovrano, dove apparentemente non vi è una logica espositiva e dove dietro l’aspetto esilarante e ironico si celano molteplici spunti di riflessione sulla società attuale. Tra le righe si evince, in merito, un’ottima descrizione/analisi di questa e dei suoi corollari.
Adatto a chi conosce la saga e a chi non nutre remore nei confronti del “disordine” narrativo. Detta caoticità è di fatto il punto forte e debole dello scritto. Quest’ultima può indispettire chi non conosce il personaggio, può far perdere il filo e portare il lettore a chiedersi quali siano le reali intenzioni del creatore degli eventi, può dunque sdubbiarlo tanto da indurlo all’abbandono di un elaborato stilisticamente di qualità o, al contrario, può conquistarlo indiscutibilmente.

«[..]Ascoltate i ragazzi senza scoraggiarli. In fondo adesso tocca a loro. Lasciare che si godano le loro illusioni, senza dirgli che sono le erbe aromatiche di cui è cosparso il grande abbacchio finanziario» p. 34

«La prospettiva immensa e silenziosa che si apre sull’intero massiccio ha fatto di me, uomo da asfalto e da decibel, un amante del silenzio, del cielo e della pietra. Julie e io abbiamo regalato questo paesaggio ai bambini per tutti gli anni della loro crescita. L’immensità si addice all’infanzia, che è ancora abitata dall’eternità. Passare le vacanze a oltre mille metri di altitudine e a ottanta chilometri da qualunque città significa alimentare i sogni, aprire le porte alle storie, parlare con il vento, ascoltare la notte, entrare in contatto con gli animali, dare un nome alle nuvole, alle stelle, ai fiori, alle erbe, agli insetti e agli alberi. Significa dare alla noia la sua ragione di essere e di durare» p. 41

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Iniziai indisciplinatamente con "La fata carbina"..
Ne fui subito conquistato, così mi gettai a capofitto tra i Malaussene..
Bentornati Signor capro espiatorio e compagnia!
Grazie Mian per la bellissima presentazione del nuovo libro
e per il nostalgico riepilogo delle "ultime della famiglia"!
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