Dettagli Recensione
La scelta di Ruth
La storia è ambientata a Fingerbone, “afflitta da un paesaggio fuori misura e da un clima stravagante” e narra di due bimbe, Ruth e Lucille, le cui esistenze sono segnate dal lutto, dall'abbandono, dalla solitudine e dall'attesa, ma anche dallo strenuo tentativo di non sprofondare nella disperazione. Tutto a Fingerbone sembra infatti sprofondare, inabissarsi in un lago scuro che inghiotte ogni cosa: prima il treno su cui viaggia il nonno di Ruth e Lucille e poi l'auto della loro mamma che, dopo averle lasciate con un pacco di biscotti per ingannare l'attesa, si getta anche lei in quel lago per porre fine alla sua tormentata esistenza. Le bambine vengono cresciute dalla nonna, poi dalle cognate di quest’ultima ed infine dalla sorella della madre, la zia Sylvie, personaggio bizzarro e poco incline alle convenzioni sociali. Sylvie, vagabonda abituata a viaggiare sui treni merci, si presenta nella vita delle nipoti con l'intento di prendersene cura, ma in modo del tutto inusuale. Preferisce infatti consentire alle bimbe di trascorrere le giornate nei boschi anziché obbligarle a frequentare le lezioni, lascia che la casa, sporca e disordinata, sia invasa dai gatti, colleziona giornali e lattine ovunque fino a suscitare l'inevitabile sospetto della comunità e l'intervento delle autorità. Le ragazzine, inizialmente in simbiosi e propense ad assecondare la zia, con l’adolescenza prenderanno strade diverse: Lucille, desiderosa di “normalità”, amicizie e rispettabilità sceglierà di andarsene dalla casa in cui è cresciuta pur di sentirsi accettata dalla comunità; Ruth, più incline ad una condotta anticonformista, resterà invece legata alla zia e deciderà di condividere con lei un'idea di casa e di famiglia totalmente fuori dagli schemi, lontano dagli abitanti di Fingerbone.
“Le cure domestiche” è un romanzo molto coinvolgente: la voce narrante è quella di Ruth che racconta la sua storia con un linguaggio ricco di immagini e di colori, talvolta fiabesco, a tratti lirico, con molti elementi di carattere simbolico. Colpisce la presenza dominante e quasi ossessiva dell'acqua: solitamente emblema di vita e di rinascita, l'acqua assume in questo romanzo un ruolo ambiguo, malevolo ed ammaliante. Il lago dal basso e la pioggia dall'alto attraggono, incantano, sommergono, isolano dal modo circostante. L'acqua è forse, quindi, simbolo di un tentativo di ritorno ad una pace e ad un equilibrio impossibili nella vita reale, ma anche l'elemento che rappresenta l'esigenza di spiritualità, un rito di passaggio verso una vita nuova. Chi già conosce la Robinson, autrice calvinista nota per la trilogia Gilead, Casa e Lila, non avrà difficoltà a riconoscere, anche in questa sua opera d'esordio (del 1980), una certa tensione religiosa ed un velato misticismo.
“Quando i nostri sensi conoscono qualcosa più a fondo di quando quella cosa ci manca? Ed ecco un altro presagio: il mondo diverrà un tutto unico. Poiché desiderare una mano sui capelli è quasi come sentirla davvero. E così qualsiasi cosa possiamo perdere, un desiderio disperato ce la restituisce di nuovo. Benché sogniamo senza neppure saperlo, il desiderio intenso, come un angelo, ci rifocilla, ci liscia i capelli, e ci porta fragole selvatiche.” (p. 137)
Ho trovato questo romanzo davvero bello: ha suscitato in me diverse emozioni e molteplici interrogativi. Ho apprezzato molto le tematiche trattate: l'elaborazione del lutto, la ricerca di una vita autentica e libera da convenzioni sociali, l'importanza dei legami affettivi, il senso della famiglia e della comunità. Ammetto di avere avuto non poche perplessità sulla figura della zia Sylvie che, seppur amorevole e, a suo modo, affettuosa, mi è sembrata eccessivamente stravagante e troppo alternativa nel suo stile educativo. Ho riflettuto a lungo sul trauma che una madre inevitabilmente lascia in un figlio con un gesto estremo come il suicidio: potrà mai quel vuoto, quel senso di abbandono e solitudine essere colmato dall'affetto, dalle attenzioni, dalle “cure” di altre persone? La Robinson con questo libro non vuole, credo, darci delle risposte: sta a noi decidere se condividere la scelta di Lucille o quella di Ruth consapevoli del fatto che “una volta che qualcuno è solo, è impossibile credere che possa mai esser stato altrimenti. La solitudine è una scoperta assoluta” (p. 142).
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Penso che la Robinson, con la sua scrittura e il suo spirito, possa parlare di qualsiasi cosa senza mai annoiare perché è sempre strettamente connessa alla Vita.