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La maschera dell'invidia
“Io non ho neanche una faccia, non ho lineamenti, tutto in me è confuso quando non sono truccata. Io ho solo delle maschere”. Chi è Eszter? Nell'Ungheria del secondo dopoguerra, protagonista e voce narrante della vicenda è un'attrice di teatro, bella, benestante ed affermata; in un lungo monologo Eszter confessa al suo amante, Lorinc, come ha vissuto i difficili anni della sua giovinezza, ma soprattutto cosa ha provato e cosa sente nei confronti di Angela, la moglie di Lorinc, la donna a cui ha sottratto l'amore coniugale. In un continuo altalenarsi tra presente e passato, la protagonista rievoca un'infanzia ed un'adolescenza vissute in povertà, tra un padre avvocato, buono, ma incapace di farsi valere e dedito più alla botanica che alle cause in tribunale e una madre pianista, dolce, ma troppo intenta a dare lezioni di musica ai figli dei vicini per accorgersi delle esigenze affettive della sua bambina a cui venivano lasciate tutte le incombenze domestiche. Eszter ricorda con amarezza le sofferenze patite, le scarpe troppo piccole e strette, la penuria di cibo ma, soprattutto, la mancanza di attenzioni: “ero l'unica alla quale mia madre non aveva tempo di dare lezioni”. Solitudine ed incomprensione sono gli ingredienti che sviluppano in Eszter rabbia, gelosia, invidia e odio nei confronti di chi, ai suoi occhi, ha tutto ciò che a lei manca: la dolce ed innocente Angela, la bella allieva di sua madre, la creatura che diverrà, fin dalla tenera età, il bersaglio su cui scaricare le sue frustrazioni. “Ho odiato Angela fin dal primo momento che l'ho vista, sempre, da sveglia e nel sonno, e l'odierò anche da morta, se c'è qualcosa dopo la morte”. L'invidia e la gelosia sono i sentimenti dominanti, sentimenti di intensità devastante, in grado di distruggere qualunque cosa: tutto ciò che appartiene ad Angela viene annientato dalla negatività di Eszter in un crescendo di dolori e sofferenze. Chi è dunque l'altra Eszter? E' veramente la donna “cattiva, scontrosa, irritabile ed invidiosa” che emerge dalle sue confessioni? E' lei stessa a metterci in guardia dal trarre sbrigative conclusioni: “quand'ero bambina, ho taciuto per tanti anni, e poi è stato troppo tardi per imparare a parlare: so soltanto mentire o tacere. La mia biografia è una menzogna”.
Il romanzo è abilmente costruito tra presente e passato in un continuo riemergere di ricordi: ogni elemento del presente, anche solo un banale dettaglio, riaccende nella protagonista un episodio che emotivamente ha segnato la sua vita. I personaggi, numerosi, si presentano al lettore così come appaiono nei pensieri di Eszter e talvolta può risultare difficile inquadrarli e capire le relazioni che tra essi intercorrono. L'impegno richiesto nella lettura viene però ampiamente compensato da una prosa impeccabile, molto coinvolgente e da una caratterizzazione della protagonista straordinaria; il finale, inoltre, è davvero sorprendente, molto emozionante e getta una nuova luce su tutta la vicenda. L'autrice è talmente abile nel farci entrare nella mente della protagonista da indurre il lettore ad un processo di immedesimazione, di empatia: la confessione di Eszter non può lasciarci indifferenti. “Se solo una volta qualcuno, chiunque, mi avesse accettata per quella che sono davvero, senza riserve, senza condizioni...”. Ho trovato questa frase particolarmente illuminante: se si fosse sentita veramente amata ed accettata, Eszter sarebbe stata diversa? Sarebbe stata un'altra Eszter? Questo romanzo mi ha fatto riflettere molto; dalla sofferenza può nascere solo altra sofferenza e più dei fatti oggettivi è determinante la percezione che ne abbiamo avuto: sono questi sentimenti a segnarci per sempre e, talvolta, ad impedirci di essere felici.
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