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Ricordi dal sottosuolo
 
Ricordi dal sottosuolo 2017-04-26 13:53:08 Franco Pompei
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Franco Pompei Opinione inserita da Franco Pompei    26 Aprile, 2017
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Quando due più due fa cinque

A quasi vent’anni di distanza da “Il sosia” (1846), con i “Ricordi dal sottosuolo” (1864) Dostoevskij torna a concentrare la propria attenzione sulle motivazioni più profonde del comportamento umano. L’opera è divisa in due parti: la prima, intitolata “il sottosuolo”, è un lungo monologo nel corso del quale viene aspramente criticato il positivismo (all’epoca ideologia dominante nella borghesia industriale europea), sarcasticamente irriso sia per la sua fiducia illimitata , e quindi ingenua, nel progresso scientifico sia per il suo assunto, a dire il vero non tanto ingenuo poiché subdolamente teso a giustificare “scientificamente” qualsiasi forma di sfruttamento sociale, secondo il quale ciascun uomo, una volta individuatolo attraverso le scienze matematiche ed economiche (il c.d. “due più due fa quattro”), sarebbe “naturalmente” portato al perseguimento del proprio “interesse” e con esso, di quello collettivo. A disvelare la fallacia dell’ideologia positivista, c’è però, secondo Dostoevskij, proprio “il sottosuolo” ossia quella forza irrazionale, ed all’epoca ancora misteriosa, che così di frequente induce l’uomo ad agire “consapevolmente” contro il proprio “interesse” e a godere della sofferenza, non solo altrui ma anche propria. Ed il “sottosuolo” altro non è che l’inconscio: l’insieme di quelle primordiali pulsioni e correlative inibizioni che, decenni più tardi, verranno codificate nei concetti freudiani di “es” e “superego”. Il difficile rapporto fra queste due componenti della psiche umana e la loro altrettanto difficile relazione con la dimensione cosciente (l’ “io” freudiano) generano, quasi inevitabilmente, nevrosi: ed è proprio ciò che viene spietatamente raccontato nella seconda parte dei “ricordi”, intitolata “a proposito della neve fradicia”, nella quale seguiamo il protagonista alle prese con le relazioni umane ed in un continuo alternarsi di masochismo e sadismo. Si tratta di un protagonista nel quale il lettore, suo malgrado, è costretto inevitabilmente a riconoscersi, poiché “l’uomo del sottosuolo” di Dostoevskij rappresenta proprio quel coacervo di spinte emozionali contraddittorie che costruiscono, ed al tempo stesso lacerano, la personalità dell’individuo. Su tutto svetta un egoistico, disperato e continuamente frustato bisogno di riconoscimento sociale, di stima ed, in definitiva, di amore da parte degli altri: “l’uomo del sottosuolo” è perfettamente consapevole che tale bisogno non verrà mai soddisfatto e che, anzi, ogni tentativo in tal senso costituirà un ulteriore motivo di sofferenza non solo per sé stesso ma anche per gli altri “vinti dalla vita” (la prostituta Liza) che incroceranno la sua strada, ma sa anche che, proprio da quella sofferenza scaturirà l’autocommiserazione e, quindi, quella invereconda ma deliziosa “voluttà nel mal di denti” così ben descritta nel primo capitolo dei “ricordi”.

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