Dettagli Recensione
Perdersi nella malattia, ritrovarsi nell'amore
“Le piaceva avere qualcosa che le rammentasse le farfalle. Si ricordava di quella volta, aveva sei o sette anni, che in giardino si era messa a piangere per la sorte delle farfalle dopo aver scoperto che vivevano solo per pochi giorni. Sua madre l'aveva consolata spiegandole che per le farfalle non era triste e che solo perché la loro vita era breve non significava che fosse tragica. Guardandole svolazzare sotto il sole caldo tra le margherite del giardino, sua madre le aveva detto: "Vedi, hanno una vita meravigliosa". Ad Alice faceva piacere ricordarlo.” (p.118)
Alice ha 50 anni, un matrimonio felice, tre figli, è una docente e ricercatrice universitaria ad Harvard: viaggia, studia, si occupa dei figli e trova anche il tempo per fare jogging. Ma un giorno, proprio durante la sua corsa quotidiana, si accorge di non sapere più in quale punto di una piazza girare per poter tornare a casa. Alice inizia così a "perdersi". Gli scherzi della memoria si fanno sempre più frequenti, sempre più inquietanti: stress? Depressione? No, purtroppo. Le visite e i controlli medici escludono tutte le altre cause e arrivano a confermare una triste condanna: forma presenile di Alzheimer. "Avrebbe preferito morire che perdere il controllo della sua mente" eppure è proprio ciò che la vita ha in serbo per lei: Alice e la sua famiglia da questo momento dovranno imparare a convivere con una progressiva demenza. Alice è cosciente di ciò che le sta accadendo, ne soffre molto, ma non rinuncia a lottare per tentare almeno di rallentare i processi degenerativi della malattia e accetta di sottoporsi ad una terapia sperimentale che, purtroppo, si rivelerà inutile. Alice sa che le resta poco tempo prima di spegnersi, eppure continua a praticare jogging, esercita la sua mente con letture e film, arriva anche a fondare una comunità di mutuo aiuto per persone come lei affette da questo morbo. Ma soprattutto Alice vuole dare e ricevere amore: chiede, anzi quasi pretende, che il marito le stia vicino, affianca con tutto il suo affetto i figli nelle loro scelte di vita e testimonia con coraggio la sua esperienza durante un convegno per sostenere i malati di Alzheimer e i loro familiari. Il discorso tenuto da Alice durante la conferenza annuale dell’Alzheimer’s Association rappresenta il messaggio che l’autrice, con il suo romanzo, ha voluto lasciare: “Sentirsi diagnosticare l'Alzheimer è come essere marchiati con una lettera scarlatta. È quello che sono adesso, una persona affetta da demenza. E il modo in cui, per un certo periodo, mi definirò io, e poi continueranno a definirmi gli altri. Ma io non sono quello che dico o quello che faccio o quello che ricordo. In realtà sono molto di più. [...]
Per favore, non limitatevi a guardare la nostra lettera scarlatta e a cancellarci dalla vostra vita. Guardateci negli occhi e parlate con noi. Non spaventatevi e non prendetela come un'offesa personale quando faremo degli errori, perché li faremo. Ripeteremo le stesse cose, cambieremo posto alle cose e ci perderemo. Ci dimenticheremo come vi chiamate e cosa avete detto due minuti prima. Faremo anche del nostro meglio per compensare e nascondere le nostre lacune cognitive. [...]
I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono incerti, e allora per cosa vivo? Vivo giorno per giorno. Vivo nel presente. Uno di questi domani dimenticherò di essere stata qui davanti a voi a tenere questo discorso. Ma solo perché presto me ne dimenticherò non vuol dire che l'oggi non conta.” (p. 252)
Anche se la malattia porta via tutto con sé, la capacità di percepire l’amore rimane intatta, così come la possibilità di donarlo: questo, dunque, il grande messaggio che ci lascia l'autrice.
Lisa Genova, neuropsichiatra americana, ha saputo sapientemente inserire in questo romanzo spiegazioni scientifiche e vicende umane: in maniera struggente ed emozionante, dà voce ai pensieri confusi di Alice e trascina il lettore nel dramma della malattia. Attraverso la lettura si percepisce l'angoscia della protagonista e la sensazione di impotenza che ne deriva. La scrittura della Genova è precisa, lucida, impietosa sulle caratteristiche di questo morbo, ma anche molto coinvolgente, scorrevole, a tratti commovente. L'autrice descrive la storia sia dal punto di vista della protagonista, sia facendoci percepire lo smarrimento dei familiari e il difficile percorso di accettazione che essi devono affrontare perché, oltre ad assisterla, devono imparare a convivere con una donna molto diversa da quella di un tempo: non è più la madre forte, la moglie determinata, ma è ormai una donna fragile, insicura, incapace di far fronte anche ai bisogni più elementari dell’esistenza.
Coinvolta, come familiare, dal dramma di questo terribile morbo, ho trovato questa lettura di grande impatto emotivo, ma estremamente utile, "terapeutica". Mi ha fatto riflettere e versare lacrime, ma soprattutto mi ha aiutata a rielaborare una perdita: perché a perdersi, in questa malattia, non è soltanto chi ne è direttamente colpito, ma anche chi vi assiste, giorno dopo giorno, impotente.