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Amare malgrado tutto
Siamo a Gilead, immaginaria cittadina dello Iowa, nella seconda metà degli anni ’50 in un'America attraversata dall'eco di forti tensioni razziali; Glory, 38 anni, la più giovane dei figli del pastore presbiteriano Robert Boughton, torna a casa con un bagaglio di fallimenti e delusioni per assistere l'anziano padre ormai vedovo e prossimo alla morte. Alla porta si presenta inaspettatamente anche Jack, uno degli otto fratelli Boughton, la pecora nera della famiglia, lo scapestrato, quello che fin da giovane combinava guai e faceva parlare tutta la cittadina, sparito da vent'anni senza lasciare traccia, assente perfino ai funerali della madre e ora misteriosamente ricomparso senza dare troppe spiegazioni. Glory, sensibile e premurosa, si prende cura sia del padre, ormai infermo, sia del fratello, provato nel fisico e tormentato nell'animo da una vita costellata di errori e sofferenze. La “casa” è il luogo fisico e simbolico attorno a cui ruota tutto il romanzo costituito da pochissime azioni, ripetitive, che si svolgono per lo più all'interno dell'abitazione: l'accudimento del padre, la preparazione dei pasti, la sistemazione del giardino e i tentativi di Jack di far ripartire il motore di una vecchia automobile ferma da anni nella stalla di casa. L'intreccio è costituito quasi esclusivamente dai dialoghi tra padre e figlio, tra l'anziano reverendo Boughton e l'amico congregazionalista Ames, ma soprattutto tra fratello e sorella. Jack e Glory si prendono cura l'uno dell'altra con premura e discrezione, aprono a poco a poco il loro cuore, si raccontano i rispettivi fallimenti, i dolori a lungo soffocati ed inespressi, l'incapacità di essere totalmente sinceri con il padre per paura di deluderne le aspettative, la difficoltà di sentire la “casa” come un rifugio in cui poter tornare, ma soprattutto un luogo in cui poter restare: “la chiamano casa, ma nessuno si ferma”. Una storia intima, una dolorosa confessione ma anche, o forse soprattutto, un romanzo che parla dei dubbi della fede, della possibilità del perdono, della speranza di salvezza. Può il figliol prodigo tornare sulla retta via? Come possiamo accogliere chi ci ha fatto soffrire? Le risposte che la Robinson ci dà sono sia quelle tratte dalla Bibbia e dalla sua fede calvinista (numerose le citazioni dalle Sacre Scritture), sia quelle che scaturiscono dal cuore dei suoi personaggi:
“Si deve perdonare per poter capire. Fino a quando non perdoni ti difendi dalla possibilità di capire” (p. 46) "Amarlo malgrado tutto era il triste privilegio dei legami di sangue" (p. 72)
“Una persona può cambiare. Tutto può cambiare” (p. 232)
"Era convinta di essersi salvata dalla vergogna e dal fallimento nudo e crudo grazie al bene che era in grado di fare al fratello" (p. 258)
Eppure in questa storia, come nella vita reale, non è tutto così semplice: Glory continua a vivere di ricordi e rimpianti, il vecchio padre non sembra essere in grado di perdonare il figlio fino in fondo e lo scapestrato Jack non dà l'impressione di essersi completamente redento. Tra un dialogo e l'altro, un tentativo di chiarimento e una parola di troppo che fa precipitare nelle reciproche incomprensioni, le domande del lettore restano in sospeso e mantengono viva la curiosità, creano una certa tensione: cosa nasconde Jack nel suo tormentato passato? Per quale motivo le lettere che ogni giorno da anni spedisce ad una donna tornano al mittente? Perché, conscio dell'imminente morte del padre, Jack decide di ripartire? L'ultima parte del romanzo spiega solo in parte i retroscena della vita misteriosa e dissoluta di Jack e il finale aperto lascia spazio alla debole speranza che qualcosa di buono sia stato seminato e che prima o poi, forse, se ne vedranno i frutti.
Marilynne Robinson è nata nel 1943 nell’Idaho e vive da anni nello Iowa, dove insegna scrittura creativa. Ha vinto il Pulitzer nel 2005 grazie a Gilead, che insieme a Casa e Lila costituisce una trilogia. Ha ricevuto nel 2012 la “National Humanities Medal” attribuita direttamente dal Presidente degli Stati Uniti 'per la grazia e intelligenza della sua scrittura' e da Obama è stata intervistata nel settembre 2015 dopo che il Presidente aveva dichiarato di aver letto ed apprezzato Gilead. E' stata ospite in Italia nel 2016 per ricevere il Premio Mondello per il miglior autore straniero e in quell'occasione Michela Murgia ha spiegato il motivo per cui la Robinson merita la nostra attenzione: “Ho scelto Marilynne Robinson perché con i suoi libri – in particolare la trilogia composta da Gilead, Casa e Lila - in questi anni si è mostrata capace più di altri di rendere narrativamente il dono perduto dell'epica contemporanea. […] Sembra non esserci epica letteraria possibile in un tempo pensato come una sequenza di istanti contemporanei intercambiabili, eppure Robinson ne ha scritta una. […] Di quel filo non spezzato abbiamo un disperato bisogno”.
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Commenti
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Anch'io sono stato incantato dalla grazia e dalla profondità della bellissima scrittura di M. Robinson. Ho letto solamente "Gilead" e non vedo l'ora di completare la trilogia.