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Il dolore dei figli dura per sempre
“Conosco troppo bene il dolore che noi figli ci stringiamo al petto, so che dura per sempre. E ci procura nostalgie così immani da levarci perfino il pianto”.
Possono una madre e una figlia ricucire il loro rapporto dopo anni di incomprensioni e silenzi?
La storia inizia a New York, in una stanza di ospedale. Una madre inaspettatamente si presenta al capezzale della figlia, Lucy, costretta ad una lungodegenza per una complicanza post-operatoria. “Ciao Bestiolina” le dice la donna, come se il tempo non fosse mai trascorso, come se la figlia fosse ancora piccola; ma Lucy è ormai adulta, si è sposata ed ha avuto due bambine. Non si vedono da anni, ma subito tra le due si ricrea una certa intimità fatta di ricordi, pettegolezzi, discorsi banali. La madre veglia la figlia per cinque giorni e il piano temporale si sposta nel passato; Lucy fa riemergere dai ricordi i traumi dell'infanzia: la povertà materiale ,“vivevamo in un garage”, ma soprattutto la povertà affettiva dei suoi genitori. Dalla sua memoria riaffiorano un padre violento e una madre incapace di “pronunciare quelle parole: ti voglio bene”. Lucy crescendo si riscatta grazie allo studio, si ferma ogni giorno a scuola oltre le ore di lezione, si appassiona alla letteratura e persegue il suo sogno: scrivere il romanzo della sua vita. Ma la vita, purtroppo, non è una storia alla quale possiamo cambiare il finale, “se vivi per vent'anni con una persona, il romanzo è quello”. Il piano temporale si sposta di nuovo: Lucy è una donna matura, si è separata dal marito e ha raggiunto l'obiettivo di diventare scrittrice seppur con profondi sensi di colpa per aver trascurato le figlie. Il cerchio si chiude, la storia si ripete. “Mamma”: parola talvolta sussurrata, talvolta urlata, legame che per sempre segna la nostra esistenza e quella dei nostri figli.
Può dunque il rapporto tra una madre una figlia ricucirsi dopo anni di silenzi ed incomprensioni? La Strout lascia a noi la riposta, ma ci fa intendere che ciò che ci ha segnato non si può cancellare: il dolore dei figli dura per sempre.
Mi chiamo Lucy Barton è un romanzo breve, la lettura scorre rapida, la scrittura è asciutta, essenziale, ma mai banale; ogni frase offre lo spunto a numerose riflessioni.
I capitoli sono costruiti come istantanee in un'alternanza tra passato e presente e le vicende della protagonista sono narrate in prima persona. L'atmosfera è raccolta, intima, leggendo questo libro ho avuto la sensazione di essere lì, in quella stanza di ospedale, tra l'andirivieni di medici ed infermiere, ad ascoltare una donna che decide di aprire il suo cuore per raccontarci le ferite della sua anima.
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