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Le donne possono essere dipinte. Non dipingere.
Alla National Gallery di Londra è esposto un dipinto del pittore spagnolo Isaac Robles. Raffigura una ragazza che regge la testa mozzata di un’altra ragazza. Sembra l’illustrazione di una favola, forse di un racconto biblico. Ma quello che colpisce sono i colori vividi, enigmatici, magnetici: l’ocra e il verde dei campi, il ruggine dei solchi della terra, il livido indaco del cielo.
Questo quadro sparì inspiegabilmente dalla Spagna durante la guerra civile e fu ritrovato trent’anni dopo in una magione inglese. Ed è quest’opera elusiva e seducente, dal significato oscuro e dalla storia misteriosa, a costituire il collegamento tra le due narrazioni che Jessie Burton propone in questo suo ultimo lavoro.
Da un lato la storia del ritrovamento del dipinto nella soffocante e razzista Londra dell’estate 1967, che si intreccia con la vicenda di Odelle, giovane immigrata caraibica, aspirante scrittrice, arrivata da Trinidad per inseguire il proprio sogno. Dall’altro la nascita del quadro nell’affascinante e pericolosa Spagna del 1936, già scossa dai primi lampi di guerra, e la storia della diciannovenne Olive, con il talento e la vocazione per la pittura, ma senza il coraggio di uscire allo scoperto e affrontare i pregiudizi che vedevano l’arte appannaggio del solo universo maschile.
Entrambe le protagoniste, determinate nella propria passione e generose verso la vita, dovranno fare i conti con i pregiudizi della società e la difficoltà di scindere la propria creatività dal bisogno di approvazione. Entrambe troveranno forza e ispirazione dai luoghi e dalle persone che incontreranno lungo il proprio cammino. Personaggi non sempre positivi, ma egoisti, imperfetti, infedeli. Ed è proprio l’ambiguità dei personaggi, oltre al senso di tensione generato dal mistero del dipinto, svelato a poco a poco, ad animare il romanzo fino alla fine.
"Ma esistono davvero l'"intera" storia e la "fama mondiale", ossia il modo giusto di guardare uno specchio? Tutto dipende dal riflesso della luce".
Jessie Burton segue in qualche modo la strada già intrapresa con “Il miniaturista”, proponendoci un nuovo romanzo a sfondo storico. “La musa” è un’opera dall’intento ambizioso, che vuole parlare di arte e creatività attraverso la ricostruzione di due periodi storici. L’idea è di certo valida e non si può non rendere merito all’autrice dell’attenzione per i dettagli e dell’occhio pittorico con cui ha saputo immaginare e descrivere suggestive atmosfere. Ciononostante, la sensazione che rimane, a fine lettura, è purtroppo quella di una certa superficialità sia per quanto riguarda l’approfondimento storico, sia per quanto riguarda la rappresentazione degli stati interiori e la crescita psicologica dei personaggi. Pur rivelando una certa fragilità, rimane comunque un buon prodotto, sincero e originale, apprezzabile soprattutto per la vividezza immaginativa.
“Un'opera d'arte ha successo solo se chi la crea possiede la convinzione necessaria per renderla reale”. In questo Jessie Burton ha raggiunto sicuramente l’obiettivo perché, pur sapendo che né il magico quadro né il pittore Isaac Robles sono mai esistiti, io alla National Gallery cercherei quell’ocra, quel verde e quell’indaco che mi si sono rimasti stampati nella mente.
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