Dettagli Recensione
Troppo lineari, i sogni incrociati.
SPOILER
Ebbene. Breve è breve, scorre scorre. E ci sono il mare, i paesaggi che amo (alcuni, mica tutti), la libertà e un paio di personaggi gradevoli.
Di contro ce ne sono altri insopportabili, in particolare i due femminili, seppur con netta affermazione di Rosa Moreno che, la dimenticherò presto, ma al momento è uno dei peggiori stereotipi femminili in cui mi son imbattuta nel recente passato, caso emblematico – a mio parere – di quello che succede quando si cerca di creare il personaggio perfetto per un uomo che fingesse di essere una donna e volesse far colpo su un uomo (libera parafrasi di Harrison Ford in "Working Girl").
Dunque abbiamo Marcel, capitano di un cargo che snuotazza per i mari e trasporta non si sa bene cosa. Naturalmente Marcel è bellissimo; riuscitissimo miscuglio etnico, amante della libertà, incuriosito, a breve termine, dagli altri esseri umani. Naturalmente è un capitano bravissimo, in grado di parcheggiare la nave in retro e in salita con un’unica manovra. E con il mare in tempesta. E con una mano sola. Che non l’altra smessaggia con la bella di turno o con il circolo dei filosofi neoplatonici o con Tony Stark, per dargli ripetizioni di fisica. Altrettanto naturalmente i suoi marinai lo venerano e chi abbia la ventura di essere momentaneamente irradiato dalla sua luce lo adora. Rosa Moreno, anonima ed insopportabile barista spagnola (ma ovviamente bellissima), per non smentirsi, lo idolatra. Ed approfitta per farsi ingravidare.
Dopo questa originalissima avventura, Marcel riparte ed ammalia altre persone: la deprimentissima Mama (bretone, con una storia impensabile persino per una bretone, ma, tanto per cambiare, bellissima), un esperto di gemme irlandese e un hacker danese. Tutti con le loro belle tare mentali e le loro infelicità. Dei due maschietti non sappiamo, però, se sono figuerrimi. Ma penso di no, che già c’abbiamo Marcel.
I quattro personaggi, irradiati momentaneamente dalla luce di Marcel, decidono in autonomia, di ritrovarlo. Ognuno per motivi diversi (in realtà il motivo delle due donne è lo stesso, indovinate quale).
Abbiamo quindi un triste siparietto che fa venire in mente Hugh Grant in “Quattro Matrimoni e un Funerale” che si trova sistemato, ad un pranzo di nozze, ad un tavolo con tutte le sue (rancorose) ex fidanzate.
Più che neoplatonico, qui Marcel fa il neosocratico e si mette di buzzo buono a usare la maieutica con i suoi ospiti: che ognuno trovi dentro di sé la risposta (in genere sbagliata) di cui ha bisogno.
L’unica che troverebbe davvero la risposta giusta è Rosa Moreno, che decide di buttarsi a mare e porre fine alle nostre sofferenze. Disgraziatamente l’inutile Marcel pensa bene di salvarla.
Quindi l’improbabile finale: Marcel che ci racconta il perché della sua anima randagia e della sua sete di libertà (ergo: chi ha sete di libertà c’ha un bel trauma pregresso, sicut erat in principio ora et semper et in saecula saeculorum) e i quattro infelici che, uno nell’altro, trovano una ragione di vita e un progetto da portare avanti. E Marcel?
Marcel li pianta lì sulla nave e – su una barchetta acquistata alla bisogna – veleggia solo e statuario, verso il tramonto.
Ora, pare impossibile che una trama di fondo, sotto sotto non troppo dissimile a quella di “La Vera Storia del Pirata Long John Silver” abbia un esito così infausto. Anche qui abbiamo personaggi in cerca di loro stessi e, uno, in cerca della sua libertà. Ma Long John funzionava tanto quanto Marcel è finto.
E Larsson mica scrive male.
Son proprio i personaggi che non girano.
Soprattutto Marcel, Mama e Rosa.
Ci sono dei punti molto acuti, persino, quando non ci sono questi personaggi in scena.
Ci sono i vecchi marinai: "Col tempo i vecchi erano arrivati a considerarlo un compagno, uno che li ascoltava e li prendeva sul serio. Jacob Nielsen non era uno di quelli che ridevano di loro perché si mettevano le vecchie uniformi blu per scendere al porto e sedersi con una birra in mano, come se fosse un lavoro, come se in quel modo trovassero una ragione per vivere. No, Jacob Nielsen non era uno di quelli che sorridevano a fior di labbra quando i vecchi spiegavano che l’unica cosa che conta nella vita è avere qualcosa da fare. “Perché senza far niente”, dicevano concordi, “la vita non ha senso”."
C’è l’amante (?) di Mama che si trasferisce sempre più ad Ovest per sfuggire all’umanità e che pensa di finire a Ouessant (dritta per te, mon ami: secondo me ci toccherà arrivare in Portogallo).
C’è qualche riflessione sulla memoria e sui luoghi che sa un po’ di Modiano, se non fosse soffocata in una trama troppo lineare.
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io ho letto solo questo e Long John Silver... lì la sinergia di trama e stile gli era riuscita bene, a mio parere. Qui le parti sul mare ed alcune riflessioni su libertà e memoria sono interessanti, ma la vicenda non è riuscita ad appassionarmi, se non in alcune figure minori.
Leggerò ancora!
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Vedo che a te questo libro è piaciuto ben poco, anche se gli riconosci uno stile di buon livello. La mia opinione su di esso non è ben definita, nel senso che mi sono piaciute alcune parti e non altre, anche se mi è sembrata una bella idea la struttura di fondo con tanto di finale. Devo ammettere che ciò che mi affascina di questo scrittore è la descrizione-rappresentazione del mare in momenti e sfumature diverse : si intuisce che tali momenti sono stati intensamente vissuti e interiorizzati. Di lui ho letto vari libri : in tutti ho apprezzato maggiormente questo aspetto, rispetto a storie e trame.