Dettagli Recensione
Lottare con Tom Joad
Cercando ispirazione dalla ballata di Bruce Springsteen "The ghost of Tom Joad" ripenso ad un romanzo che ha fatto la storia della letteratura americana.
L'opera è grandiosa per significato e universalità e mi confonde. Ripenso al viaggio disperato che la famiglia Joad, fatta da brava gente, semplici mezzadri, sfrattati dalla falciatrice meccanica, è costretta a compiere dalla polvere sterile dell'Oklahoma a quella che dei volantini distribuiti a pioggia favoleggiano come la terra promessa: la California, terra ricca, fertile, di interminabili filari di alberi da frutta, dove ci si può rimpinzare di tutto ciò che si vuole, fare facili quattrini, deporre la falce e vivere una vita decorosa in una bella casa, mandando i figli a scuola e tutto il resto.
E' questa speranza che muove gli animi dei Joad e li getta sulla strada una manciata di decenni prima che Kerouac e la beat generation ne facessero una moda. Qui le motivazioni del viaggio sono molto più prosaiche: si è in tanti (una decina tra nonni, zii e figli) e si deve campare.
La brutalità con cui la meccanizzazione agricola ha espulso i contadini dalle loro terre, le stesse che magari gli avi avevano strappato agli indiani, si manifesta nell'avanzare inesorabile della falciatrice che traccia dei solchi tremendi sulla terra, la terra che ora non è più di chi la lavorava da generazioni e la viveva, si inebriava dei suoi profumi, la conosceva, la temeva e la rispettava; muore la tradizione e l'esperienza millenaria della coltivazione della terra per far posto a macchinari mostruosi, enormi, governati da uomini che per tre dollari al giorno sono disposti anche a demolire le abitazioni dei mezzadri, che impotenti restano a guardare.
Le banche, le corporazioni, le grandi aziende che già negli anni immediatamente successivi al '29 reggono le sorti degli Stati Uniti, vengono descritte al lettore come le vere responsabili di questa catastrofe, da cui non si vede via d'uscita se non l'esodo, la fuga ancora una volta verso il West.
Così la mitica Route 66 si riempie di automobili e mezzi di fortuna malconci e rattoppati, riempiti all'inverosimile di masserizie e materiale umano. Il flusso è lento e univoco, nessuno torna indietro. Ricoveri e tende di fortuna per passare la notte, poche provviste e i risparmi di una vita che se il viaggio dura troppi giorni finiscono. E come putroppo avviene sempre con gli esuli, nessuno li può aiutare, sono in troppi, c'è diffidenza, molti non pagano, alcuni potrebbero rubare.
E mentre scorrono i maestosi paesaggi americani, le grandi pianure dell'Oklahoma e del Texas, i deserti e i bastioni rocciosi del Nuovo Messico e dell'Arizona, i Joad non hanno occhi per vederli, ma devono prestare orecchio al rombo del motore, tenere gli occhi fissi sulla strada per evitare eventuali buche: un asse rotto o il foramento di un pneumatico potrebbe significare la rovina.
In effetti di guasti e di ben più gravi lutti ne accadranno molti, ma l'ostinazione e il carattere di alcuni personaggi memorabili quali tra tutti Tom Joad, fiero e mosso da un senso primitivo di rabbia e giustizia, e la mamma, vero capo del clan, disperatamente lucida e determinata, guiderà a destinazione la famiglia, o ciò che ne resterà, e li farà compiere delle scelte, spesso estreme, come le loro condizioni.
E' facile immaginare come la California invasa da orde di profughi non si rivelerà la terra promessa, ma anzi rappresenterà la tappa conclusiva e peggiore del viaggio. Polizia che incendia i campi degli odiati "Okies", padroni di frutteti che s'avvantaggiano della disponibilità esorbitante di manodopera per dimezzare i salari, arresti degli agitatori "bolscevichi e nemici della patria", non appena qualcuno tenti di organizzare una protesta.
E' uno scenario apocalittico, eppure descritto attraverso la semplicità e la dignità di una famiglia onesta. Non c'è tempo per piangersi addosso, o per piangere le morti che pure avvengono attorno ai Joad, occorre essere lucidi per sopravvivere, lavorare per mangiare e per garantirsi un futuro migliore. In fondo questa speranza non muore mai, è il filo conduttore del libro; come non leggervi l'ottimismo dell'uomo americano che è disposto a sacrificare la sua stabilità e a mettersi in gioco per tentare, per farcela, per essere migliore.
Alla fine così come spariscono gradualmente molti personaggi del romanzo, anche di Tom Joad si perdono le tracce. E così egli assurge a simbolo. Lo si può immaginare a capo di un manipolo di braccianti, a rivendicare e a ottenere un salario decente, o molti anni dopo il suo spirito a manifestare contro il Vietnam o contro l'assassinio dei fratelli Kennedy, o davanti ai carri armati di Piazza Tienanmen. Se la mamma fino alla fine bada a tenere unita la famiglia, impresa disperata, visto lo scatenarsi di forze centrifughe che tendono continuamente a disperderla, l'adorato suo figlio Tom dovrà tenere uniti gli uomini sotto le insegne della protesta, che di lì a poco non tarderà ad esplodere.
Un capolavoro di perenne attualità, che ci ricorda che i profughi e gli aguzzini siamo noi, che la storia si ripete, e che dovremmo essere grati e consapevoli di ciò che abbiamo, finché ce l'abbiamo. E' un racconto che ci indigna per le ingiustizie che il sistema capitalistico già quasi un secolo fa produceva, ci ammanta di furore e fa venire la voglia di unirci e lottare ancora una volta con Tom Joad per un mondo sostenibile, un'agricoltura rispettosa della terra e dei suoi tempi, delle condizioni di lavoro eque e soprattutto il rispetto e la dignità delle persone.
Indicazioni utili
Philip Lymbery - Farmageddon
Jack Kerouac - Sulla strada
John Fante
Commenti
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Grazie!
in questa tua recensione Biplan!
E' un bell'invito alla lettura di questo romanzo!
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