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Cosa sognano i lupi
 
Cosa sognano i lupi 2017-03-10 23:30:09 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    11 Marzo, 2017
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Un'inarrestabile discesa verso gli inferi

"Sono le sei del mattino, e il giorno non ha abbastanza fegato per avventurarsi in strada. Da quando Algeri ha rinnegato i propri santi, il sole preferisce starsene al largo, in mare, ad aspettare che la notte abbia finito di smontare i suoi patiboli". Per la gente della Casbah la vita ha ben poco da offrire. Fame, degrado, umiliazioni sono all'ordine del giorno, per lavorare bisogna rinunciare alla dignità e mettersi al totale servizio dei pochi ricchi che, pieni di boria e di presunzione, trattano i dipendenti come zerbini. I titoli di studio servono a ben poco e perfino eminenti universitari si vedono costretti a trasformarsi in venditori ambulanti per potersi assicurare due pasti al giorno. In un ambiente come questo è facile farsi traviare, incanalare rabbia e delusione in maniera sbagliata, farsi riempire la testa e il cuore da idee fanatiche e violente. Se la vita non riesce a dare altro che amarezze, si può sperare in un aldilà in cui basta schioccare le dita per vedere realizzarsi ogni desiderio. Ma per guadagnarsi il paradiso la strada più sicura e veloce è allo stesso tempo quella più tragica e crudele: il martirio. Lo sa bene il giovane Nafa Walid, aspirante attore convinto di essere nato per piacere e per sedurre, speranzoso di conquistare i cuori solo con la sua grazia ed il suo talento. James Dean, Omar Sharif, Alain Delon sono i suoi idoli e le loro immagini tappezzano le pareti della sua squallida cameretta. In attesa della giusta occasione, Nafa si adatta a fare l'autista per i Raja, ricca ed eminente famiglia tra le più importanti e arroganti di Algeri. Sopporta tutto il nostro eroe, obbedisce anche agli ordini più assurdi ed ingiusti pur di lavorare, fino a quando, però, i suoi padroni oltrepassano il limite. Allora non gli resta che abbandonare volante, divisa e stipendio e tornare a passeggiare tra lo squallore della Casbah, sognando il cinema e affidando le sue speranze ad improbabili stage per finire vittima di spietate truffe. Arrabbiato con se stesso e con chi lo circonda, deluso dal suo paese, in contrasto con la sua famiglia, senza alcuna chance di migliorare la sua condizione, Nafa diventa facile preda di fanatici fondamentalisti che arruolano i loro adepti proprio tra i tanti ragazzi che si trascinano tra rabbia, frustrazione ed impotenza. La sua speranza taglia la corda, il suo cielo perde le stelle, ogni cosa diviene insignificante. Per lui, che sognava il paradiso, comincia un'inarrestabile discesa verso gli inferi. Spietato, lucido, sagace, l'autore ci riporta ai tempi della guerra civile algerina, proiettandoci in un contesto sociale e culturale difficile, dove il divario tra ricchi e poveri è abissale e dove i contrasti che caratterizzano la politica interna si trasformano con troppa facilità in impietosa violenza. Quello algerino è un popolo orgoglioso, che prima avrebbe preferito tagliarsi la mano piuttosto che tenderla, ed ora si ritrova a doverle tendere entrambe; che si accontenta della mensa popolare mentre gli altri buttano i soldi dalla finestra; che si vede pompare il petrolio sotto il naso senza trarne alcun beneficio, che vede continuamente calpestate la propria dignità e le proprie speranze. Se l'ambientazione ci riporta agli anni novanta, fin troppo attuale resta il tema di fondo: la triste facilità con cui ragazzi, delusi e pieni di rabbia per la loro condizione, si ritrovano ad imbracciare le armi votandosi ad una causa che maschera dietro ipocrite motivazioni islamiche obiettivi, metodi e ragioni che con la religione non hanno niente a che fare. Con la sua esperienza di ufficiale dell'esercito, la sua capacità di entrare nella mente dei personaggi e la sua prosa delicata e a tratti poetica, Yasmina Khadra non si limita a condannare il terrorismo, ma cerca di immedesimarsi in chi ci è invischiato e prova a comprenderne le pur ingiustificabili ragioni. La condanna si estende però anche a chi governa, a chi permette ai ricchi di prevaricare le leggi e di usarle a proprio piacimento, a chi non fa nulla per contrastare le differenze sociali e per combattere il degrado, la disoccupazione, la frustrazione dei deboli. Perché nella lotta al terrorismo le armi servono soltanto ad aggiungere violenza ad altra violenza, ed il vero sistema per contrastare fanatici e fondamentalisti è dare alla gente lavoro, dignità e speranza. "Tornando a casa, ritrovavo il malumore di mio padre, piazzato nel suo angolo come un sortilegio, che approfittava della minima banalità per mettersi a sbraitare contro di noi. Lo detestavo, detestavo la sua dentiera che ammuffiva nel bicchiere, il suo odore di malato immaginario; detestavo il nostro tugurio dove soffocavano le mie sorelle la cui povertà teneva lontani i pretendenti nonostante la loro reputazione di ottime donne di casa e la finezza dei loro lineamenti; detestavo lo squallore della mia camera pari a quello della mia anima, i miseri pasti improvvisati da mia madre, il suo sorriso che si scusava di non avere nient'altro da offrire, il suo sguardo triste che mi faceva sprofondare sempre più ogni volta che si posava su di me...Non ne potevo più. Fuori, era peggio".

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