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“Gli amori infelici non finiscono mai”
Una donna attende da vent’anni il ritorno dell’unico uomo che abbia mai amato. Lajos l’imbonitore, che l’ha fatta innamorare con le sue menzogne e il suo fascino, e poi ha sposato sua sorella. Lajos il falsificatore di cambiali, che ha sempre chiesto soldi, rischiando di mandare sul lastrico tutta la famiglia. Lajos il fuggiasco, che se n’è andato senza più dare notizia. Nel tempo Eszter è riuscita a saldare, uno ad uno, i pezzi in cui si era sgretolata la sua vita, cementandoli in un’esistenza placida e serena. Ha piano piano reso silenziose come un leggero fruscio le voci del passato e dei ricordi. Ha seppellito i sentimenti sotto una coltre di gesti quotidiani e tranquille amicizie. Eppure, anche se non lo sa, è solo in attesa. E un giorno quel telegramma arriva: Lajos sta tornando.
Quella che Sandor Marai descrive, con stupefacente profondità, non è però la storia di un incrollabile sentimento piuttosto delle conseguenze psicologiche di un amore rimasto in sospeso, non vissuto, regalato ad un uomo rivelatosi bugiardo e inaffidabile. Eszter sa di non poter credere alle parole di Lajos, inganni pronunciati “come urla il vento, con una specie di forza primordiale”; sa di non potergli affidare nulla, tantomeno un sentimento, perché tutto nelle sue mani viene corrotto. Eppure, per quanto sensata sia la voce della ragione, c’è qualcosa che risuona, ancor più forte e disperato, nella cavità che è diventata la sua vita: l’eco del rimpianto. Perché “non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio” e, con la stessa chiarezza con cui sa che l’epilogo di questo amore sarebbe stato comunque già scritto in partenza, Eszter sa anche di non aver avuto coraggio. Né per vivere fino in fondo l’amore per Lajos, né per dimenticarlo davvero. Ed ora deve fare i conti con l’incompiutezza della propria vita che reclama un tardivo, inevitabile, disperato finale.
Le parole di Eszter, voce narrante in prima persona, ci incantano con la loro pacata fluidità e morbidezza, così in contrasto con l’incisività con cui ci rivela, tra le righe, l’inquietudine e la profondità del suo animo. Pagina dopo pagina, parole di velluto avvolgono il cuore del lettore ma non abbracciano, stringono sempre più forte man mano che il destino, atteso con rassegnazione, si rivela nella sua ineluttabilità. Vorremmo un tentativo di opposizione, un gesto di ribellione. Invece Marai ci lascia riflettere amaramente sulla verità di un’umanità che non può cambiare, come non può sfuggire al proprio dolore.
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Commenti
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A me è piaciuto molto, non posso quindi che consigliarlo.
Marai è un autore che desidero davvero approfondire.
Mi riprometto di leggere presto altro.
Anch'io, prima di questo libro, avevo letto solo "Le braci", ma leggerò sicuramente altro. Marai mi ha davvero conquistata con il suo stile e la capacità di cogliere l'essenza dell'animo umano.
Grazie ancora, Manuela
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Questo libro di Marai mi manca. Mi pare abbia un po' l'andamento di "Le braci". Comunque, lo stile dello scrittore, talvolta con le 'parole di velluto' , dev'esserci tutto.