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Uno scrittore brillantissimo e super onesto, ma...
Cerco di essere breve, anche se questo libro, e le impressioni da esso provocate, non si possono riassumere con efficacia in alcun modo. In primis, preciso che l'ho letto in originale, e che stento a credere che in traduzione si possa mantenere lo stesso livello stilistico. Naturalmente la lettura in originale e' molto difficile.
Il libro e' scritto in modo eccezionalmente brillante, come tutti i prodotti di Wallace. Il libro tenta a mio parere di affrontare un tema che Wallace ritiene universale e comunque rappresentativo del suo paese natale nel suo proprio tempo, e direi che ci riesce benissimo. Chi e' stato negli USA per un periodo prolungato, a scopo di studio o di lavoro, non per solo turismo, non fatichera' a riconoscere tante delle paranoie descritte nel libro. In questo Wallace e' bravo come (se non piu'), per esempio, Bukowski. Il libro sembra "sincero", "onesto", senza trucchi ne' tentativi di nascondere il pensiero dell'autore, in modo quasi imbarazzante: ma questa mi sembra una caratteristica (positivissima) di tutto quanto Wallace ha scritto. Il libro e' fortemente evocativo: lo inizi, e ci rimani dentro, in un mondo diverso dal tuo - in genere, almeno - senza poterne uscire, vedendotelo sempre tutto intorno, fino alla fine (o alla mancanza di essa).
A fronte di questi pregi, non da poco, c'e' pero' (a) la completa mancanza di una trama svolta dal principio alla fine, che, dopo quasi 1000 pagine, puo' lasciare qualche lettore, come me, un tantino frustrato; (b) la presenza di decine di personaggi in apparenza senza relazioni fra loro, e che solo ben avanti nella lettura diventano interdipendenti, il che rende la lettura difficile; (c) la tendenza - anzi la fredda determinazione – a saltare continuamente da luogo a luogo e da tempo a tempo, che aggrava la difficolta' di lettura (almeno per me); (d) la mole inquietante, e di cui fatico a capire la ragione, visto che gli stessi temi potevano probabilmente essere affrontati con uguale profondita' in meta' spazio, secondo me; (e) il ricorso a 380 note, per oltre 100 pagine, che fanno parte integrante del testo, in modo che se si decide di non leggerle, o di leggerle solo alla fine, si perdono vari pezzi del puzzle (scusate); (f) la tendenza a iniziare capitoli e paragrafi lasciando del tutto nel vago chi stia parlando, e di chi o di cosa, delle decine in ballo, si stia parlando. Insomma: e' scritto "difficile", e, data l'abilita' di Wallace, non se ne capisce il perche'. Avesse voluto, sono certo che Wallace sarebbe stato capacissimo di parlare delle stesse cose, con la stessa profondita' ed evocativita', in modo molto piu' accessibile.
Infine, l'aspetto che meno mi soddisfa, di questo libro, e' l'apparente distacco emotivo dell'autore dai suoi contenuti, il che quasi certamente e' costruito, visto che in realta' Wallace, nei temi che affronta, ci e' annegato. Sembra un esercizio di stile, invece che un tentativo di comunicare al lettore qualche cosa di molto importante per l'autore; e questo per me e' un difetto grave. E' un libro spesso troppo "freddo", insomma, almeno in apparenza. Perche'?
Alla fine io sono comunque stato felice di aver letto questo libro, per due volte in realta', ma non entusiasmato. Ero rimasto entusiasmato invece dai saggi di Wallace, e particolarmente da quelli sul tennis. Io normalmente non leggo volentieri saggistica - preferisco i romanzi -, ma Wallace e' cosi' lucido, cosi' sincero, e cosi' bravo a scrivere, che quasi tutti i suoi saggi mi hanno proprio entusiasmato. La narrativa, invece, mi e' sempre parsa meno efficace, e sempre per le stesse ragioni: freddezza, eccesso di formalismo, complicazione e lunghezza non indispensabili.
Tuttavia Wallace scrive cosi' bene che si riesce a superare quasi ogni difficolta', in tutto cio' che ha prodotto. Per questo consiglio caldamente la lettura di questo volumone: note comprese!
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