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illusione rimasta impressa nel teatro dell’immagin
Ammiro molto che ogni volume del Cimitero dei Libri Dimenticati è una storia a se ma che fa parte di una più grande.
Strutturalmente, la storia ha lo stesso tocco sorprendente di Zafón. Il Labirinto elude il realismo magico dell'Ombra del Vento ed il Gioco dell'Angelo affrontandolo da un punto di vista più terreno nel classico stile di investigatori.
Sono proprio gli investigatori i personaggi principali. Prima fra tutte sicuramente Alicia Gris. Una donna molto forte e determinata con un passato che l'ha segnata nel cuore e nel fisico. I dialoghi agili e spiritosi, con il suo compagno di ventura Vargas, e brevi capitoli hanno fatto si che leggessi le loro pagine con fluidità sorprendente.
Altro personaggio, Fermin resta sempre il mio preferito. Mi piacciono le sue perle di saggezza e non mi stanca mai. Avrei preferito che fosse addirittura più protagonista, così come suggeriva la parte iniziale del libro, che tra l'altro ha un ritmo totalmente diverso dal proseguio.
Verso metà romanzo, inspiegabilmente, ci sono numerosi passaggi inutili. Certo le descrizioni dei palazzi abbandonati e il tocco gotico di una Barcellona decadente è piacevole ma il troppo stroppia specie se svia l'attenzione dall'indagine principale.
Il romanzo affonda le radici nei precedenti capitoli della saga, ma proporre una trama già intricata, come rami di nocciolo. Credo che Zafón se ne randa conto perché sfrutta il meccanismo dei flashback, attraverso documenti o confessioni, che servono a districarsi nel dedalo di informazioni che emergono apparentemente a caso. Mi chiedo se tutto questo era indispensabile.
Come l'ha definito lo stesso Zafón " questo ciclo è un puzzle che ha sparso i propri tasselli nei quattro libri".
Nel finale il ritmo cambia. Tutto è semplice, lineare ma scorre sorprendentemente veloce.
Quando ho terminato la lettura ho avuto quasi l'impressione che l'autore non abbia scritto ancora tutto.