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Fitomorfosi
Atteone, il mitico cacciatore educato dal centauro Chirone, osserva, nei recessi più intimi della foresta, la dea Diana nuda; lei, sorpresa, lo trasforma in un cervo, Atteone scappa e viene divorato dai suoi stessi cani, cacciatore prima, preda poi. È il mito di un dissolvimento brutale nello spirito della natura, è il mito di una palingenesi che ha i tratti luminosi di una verità alla fine dis-velata.
Un velo semitrasparente sembra essersi posato sulle labbra di Yeong-hye, una diafana inconsistenza che sembra attingere la propria linfa dalle radici immerse nella terra, dal lento dissolversi della materia organica, del proprio corpo, nella terra umida, scura e brillante, oltre le contraddizioni. Tutto fluisce e termina, rinasce forse, nella tensione di uno stillicidio lento, goccia di linfa su goccia di linfa, arterie verdi che impiastrano della loro appiccicosa dolcezza, il corpo, l’anima e ancora, lo spirito. Vegetalizzazione come copio dissolvi: è il vuoto orrifico spalancato al centro di un oceano verde, silenzioso, cocciutamente inesprimibile.
Si articola in tre parti questo libro, manifesto come un fiore bianco che sboccia, ma chiuso, col suo segreto, come una natura silenziosa, gelosa del suo segreto.
Parte prima: la vegetariana.
Yeong-hye fa un sogno, un volto, “nato dalla pancia”, dirà poi. È un sogno che macchia di sangue la sua vita, un senso di panico, ansia, come un peso che le impedisce di respirare, al centro del petto. Il marito ci racconta la sua metamorfosi, la sua scelta: diventare vegetariana e allontanare il sogno, liberarsi del peso. Yeong-hye è parlata, da altre infinte prospettive che rendono difficile, misterioso, coglierne le reali ragioni. Il marito la critica, non la capisce, la disdegna, ma per lei, lui “puzza di carne”. Il corpo è imperfetto: “è il tuo, puoi trattarlo come ti pare, l’unico territorio in cui sei libera di fare come preferisci, ma anche questo non va come volevi”, dirà più avanti la sorella. La chimica del carbonio è volgare, parlare è feroce. Il marito ci racconta e giudica." La vegetariana", come lui la chiama, è una condanna, una parola che circoscrive il limite della comprensione e l’infinità dell’incomprensione: la natura è solo un quadro di Arcimboldo.
Parte seconda: la macchia mongolica
La macchia mongolica è una voglia, un errore di pigmentazione, si dice, dei discendenti di Gengis Khan. Altri dicono sia l’impronta che la nonna lascia quando dà uno schiaffo al bambino per farlo respirare. La macchia mongolica ha un colore bluastro, compare spesso sulle natiche o in fondo alla schiene e scompare, poco dopo, con la crescita. Yeong-hye ce l’ha ancora, sulla natica sinistra. Ed è quella idea a eccitare il marito della sorella, un artista, quella persistente macchia bluastra. Eppure quell’eccitazione, quella voglia animalesca di possederla, si innalza poco a poco nell’estatica contemplazione dei fiori pitturati, del corpo brillante, si sublima nell’astratta geometrica perfezione di una natura che ha le forme di una quadro di Piero della Francesca.
Parte terza: fiamme verdi
Parla la sorella di Yeong-hye, torturata dal crivello dell’incomprensione. Perché la sorella, perché il marito hanno fatto quello che hanno fatto? È la fuoriuscita dagli schemi in cui è cresciuta, in cui ha creduto, è il crollo di quell’attaccamento alla vita di cui, alla fine, si chiede “perché importa così tanto vivere?”. È la storia di una comprensione e, per sua stessa natura, di una dissoluzione impossibile. La natura di In-hye, la sorella, è come un inferno di ninfee, un quadro di Monet straziato di luce, come uno spazio oscuro in cui affoga il suo pensiero. Resta solo da guardarla, accanitamente, “come a protestare contro qualcosa”, cupa e insistente.
Affascinante e misterioso, luminoso e scuro questo libro di Han Kang, all’incrocio tra oriente e occidente, in bilico tra la ricerca di un senso, di una liberazione, possibile forse solo oltre il principio di sopravvivenza, e la coercizione sociale, l’incomprensione, la clinica psichiatrica che sembra non capire. Ma in fondo dove è la verità? Perché Yeong-hye ha lasciato il filo che la lega alla vita? È malata, è un’asceta, è una mistica, è pazza? È uno stupro, è arte, è sublimazione dell’eros, ricerca platonica? Tutto sembra scivolare, sciogliersi, aperto alle inclinazioni del lettore. Non perfetto, specie all’inizio, il libro cresce, poco a poco, si impone con la sua atmosfera, con il suo velo di palpabile magia, risuona di echi primitivi, essenziali, ctonii. È un libro di ricerca e liberazione, di illuminazione e (in)comprensione, ma anche un libro che sembra affondare la sua intima ragione in una mistica nuda e cristallina, in fondo, alle radici delle piante, dove il peso della terra si dissolve alla fine in un pulviscolo di luce, il battito di una farfalla.
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