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Santiago e il Marlin
“Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti”
Fu tanti anni fa quando lessi questo libro per la prima volta, l’ho voluto riprendere tra le mani, per coglierne ancora una volta l’ammaliante sapore di salsedine e di sogno.
E’ tornato, di diritto, a riconquistarmi come allora.
“Il vecchio e il mare” più che un romanzo è un racconto lungo, che alla sua semplice struttura, fatta di una trama lineare, pochi personaggi e una sintassi molto essenziale, coniuga la complessità delle meditazioni. È una collezione di piccole conchiglie modellate dall’acqua del mare, che se accostate all’orecchio con attenzione dischiudono preziose missive custodite nel loro canto.
C’è la sfida dell’Uomo che si misura con la forza degli Elementi, celebrata attraverso l’interpretazione più nobile della pesca (e della caccia più in generale), come solenne rito di simbiosi con la Natura. C’è la solidarietà, la commovente complicità e la stima reciproca tra il vecchio ed il giovane, il saggio e l’apprendista. C’è il tema della solitudine e dell’isolamento dell’anziano, visitato con vibrante coinvolgimento durante il racconto, “Si accorse di come era piacevole avere qualcuno con cui parlare invece di parlare soltanto a sé stesso e al mare.”
Lo stile di scrittura è straordinario nell’evocare attraverso l’espediente del soliloquio, quei momenti di intensissima concentrazione e tensione che mettono alla prova la forza di volontà. In questa dimensione il tempo si dilata e si chiamano a raccolta le riflessioni più profonde e le più assurde, si fa appello al culto dei miti (Joe DiMaggio) e non ultime si risvegliano la Fede e la superstizione. Quest'ultima (così ben personificata dalla mano sinistra traditrice) si fa strada come un balsamo per il cuore provato dagli stenti, quando la fatica tiene in scacco la ragione, donando tregua e nuova linfa per scongiurare l’onta di abbandonare il campo prima del termine della titanica contesa.
"Il vecchio e il mare" di Hemingway non si può dunque sottrarre, complice la parziale condivisione di temi e scenari, al confronto con "Moby Dick" di Melville, ma nel mio immaginario, per l’affetto che gli serbo, è la piccola storia del vecchio Santiago ad aver la meglio sul possente leviatano di carta del leggendario Capitano Achab.
“Congiunse le mani e si tastò le palme. Non erano morte e gli bastava aprirle e chiuderle per risuscitare il dolore della vita.”
In questo libro Hemingway compie un prodigio, regalando alla meccanica semplice dei gesti di un pescatore la profondità e il mistero degli abissi dell’Oceano.
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