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A voce alta 2009-05-04 21:37:20 Arcangela Cammalleri
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Arcangela Cammalleri Opinione inserita da Arcangela Cammalleri    04 Mag, 2009
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A voce alta di Bernhard Sclink

La città che fa da sfondo al romanzo - mai nominata ma segnalata da riferimenti toponomastici precisi - è Heidelberg, sede della più antica università tedesca; siamo negli anni ’50 e l’adolescente Michael Berg incontra Hanna, una donna affascinante e misteriosa, sulla trentina: è passione e amore travolgenti. I loro incontri s’infittiscono e vivono un’intensa relazione fatta di sensualità e pudori. Quando Hanna sparisce, Michael con strazio prima, con la voglia di vivere dopo, prosegue gli studi, gli ultimi anni di liceo, la facoltà di legge, ma il ricordo di Hanna non lo abbandona mai, fino a quando durante un seminario sui procedimenti giudiziari, connessi al passato nazista, la rivede in tribunale. Lei e altre quattro donne accusate erano state sorveglianti in un piccolo campo di concentramento nei pressi di Cracovia, un lager esterno di Auschwitz. I capi d’accusa riguardano il modo in cui le imputate avevano agito ad Auschwitz, le selezioni nel lager e la notte del bombardamento che aveva posto fine alla colonna di prigionieri per l’Ovest; la responsabilità dei reparti di guardia e delle sorveglianti che avevano rinchiuso i prigionieri - centinaia di donne - nella chiesa di un villaggio che era stato abbandonato dalla maggior parte degli abitanti. Caddero un paio di bombe, forse destinate a una linea ferroviaria vicina o a una fabbrica, una colpì la canonica, l’altra centrò il campanile, prese fuoco il tetto della chiesa, le pesanti porte rimasero chiuse, le imputate avrebbero potuto aprirle, ma non lo fecero e così le donne rinchiuse là dentro bruciarono vive. Meno due, una madre e una figlia miracolosamente salvatesi, testimoni oculari, inchiodano le imputate alle loro responsabilità. Tutto il periodo del dibattimento, la condanna di Hanna e gli anni di carcere segnano il percorso di vita di Michael fino al suo tragico epilogo. E’ una straordinaria e struggente storia d’amore, Hanna si faceva leggere ad alta voce da Michael i romanzi perché era analfabeta - ma teneva segreta questa vergogna più del suo passato di aguzzina nazista - e una intensa riflessione sul nazismo: “cosa doveva e deve farsene, la generazione dei nati dopo, delle informazioni sulle atrocità dello sterminio degli ebrei.? “Noi non dobbiamo pensare di poter comprendere ciò che è incomprensibile, non possiamo comparare ciò che è incomparabile, non possiamo indagare, perché chi indaga sulle atrocità, anche se non le mette in discussione, ne fa comunque oggetto di comunicazione e non ottiene che qualcosa di fronte a cui può solo ammutolire per l’orrore, la colpa e la vergogna. Ma era giusto così? “Come poteva essere un conforto il fatto che il mio patire per amore di Hanna era in un certo senso il destino della mia generazione, il destino dei tedeschi, al quale riuscivo a sottrarmi solo malamente, col quale mi destreggiavo ancor peggio degli altri! Quanto meno mi avrebbe fatto bene, allora, se fossi riuscito a sentirmi parte della mia generazione.” L’autore nell’ultima pagina dice che tutto ciò risale ormai a 10 anni fa: “Quel che ho fatto o non ho fatto e quel che lei mi ha fatto: è ormai la mia vita.” All’inizio scrive la storia per liberarsi, ma i ricordi non si piegano a questo scopo. Poi si rende conto che la storia gli sfugge di mano, e vuole riprenderla per mezzo della scrittura, ma anche così non riesce a carpire la memoria. Da qualche anno la lascia stare perché ha finalmente fatto pace con lei.

Il romanzo, soprattutto nella seconda parte, quando la storia tra Michael e Hanna viene rivissuta attraverso la memoria, assume una dimensione lirica, pur nei periodi di lunghi silenzi e distanze, sedimenta strati su strati di malinconia, dolcezze e sensi di colpa contrastanti; è in questi pensieri che lo scrittore usa accorgimenti stilisti toccanti pur nell’apparente distacco emotivo. La terminologia e fraseologia giuridica che si riscontra nel testo quando si descrivono gli atti processuali non sono che le proprietà di linguaggio forense di Bernhad Sclink che è magistrato e docente di diritto in una università tedesca. Un gran bel romanzo e una storia singolare a cui il film rende onore, in quanto il regista riesce a mantenere quel registro emotivo distaccato, ma mai freddo e non scade nella retorica e nell’ovvietà.

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Storie d'amore insolite e con risvolti insoliti...
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