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Disfacimento storico e personale
"...Dove devo andare ora, io, un Trotta?..." Una semplice domanda, poco consolatoria, esprime la disperazione e rassegnazione del protagonista, Francesco Ferdinando Von Trotta, di fronte all' impossibilità di immaginare un futuro che non sia la caduta di un mondo, il suo mondo, quell' Impero austro-ungarico che fino a quel momento aveva segnato un' epoca unificando popoli, culture, lingue e religioni diverse.
È un momento storico che è anche l' epilogo di un ideale personale, il disfacimento di un casato, la certezza che nulla sarà più come prima e che un presentimento si è fatto realtà e fredda desolazione.
Sin dall'inizio, in Francesco Ferdinando, erede di un casato di umili origini assurto a gloria e nobiltà grazie all' imperatore, aleggia una malinconica presenza, quell' idea di non essere figlio del proprio tempo, per non dire suo nemico, un giovane dotato di orecchio fine ma volutamente sordo.
Egli frequenta un mondo aristocratico dissipatore, malinconicamente presuntuoso, ignavo, è un giovane frivolo e sciocco, sfaticato, inconcludente, nottambulo ( di giorno dorme ), miscredente come tutti i suoi amici.
Eppure, oltre una banale apparenza sente e rimugina altro, vive la certezza che il vecchio impero sta morendo, accompagnato da tutti i sintomi della rovina. E proprio da un preciso sentimento, "...da quella sensazione di essere votati alla morte, nasceva un folle desiderio di vita..."
Francesco Ferdinando e' intriso dello spirito della vecchia monarchia ma sa che tutto sta cambiando o è già cambiato " ...ma la morte invisibile incrociava gia' le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo, noi non le vedevamo, non vedevamo le sue mani..."( espressione simbolo del disfacimento e ripetuta più volte nel testo ).
Attorno a lui molteplici partenze e ritorni, volti multietnici figli di quel vasto impero mitteleuropeo, sfruttatore delle periferie ma da tutti riconosciuto, da alcuni persino amato, si pensi al conte Chojnicki, considerato vecchio e maturo da chi era immaturalmente senza età, al vetturino Menes Reisiger, polacco, innamorato di un figlio geniale quanto rivoluzionario ed al caldarrostaio Joseph Branco, cugino del protagonista, sloveno di origine, animo semplice e nomade perenne.
E poi una madre austera e conservatrice di una tradizione decadente ed una giovane donna da amare e da sposare, Elisabeth, prima della partenza per il fronte ( lo scoppio della prima guerra mondiale ) e di una possibile fine annunciata, perché " ...ogni faccenda privata ormai era divenuta pubblica...", ci si sentiva liberi di fronte alla malattia, la grande guerra, e "...non si aveva piu' tempo per sapere se si agognava la morte o si aspettava la vita....".
È una guerra mondiale non perché vi partecipi il mondo intero, ma in quanto farà crollare il magico mondo della monarchia danubiana.
I combattimenti in Galizia orientale, la prigionia, il ritorno nell' inverno del 1918 in una città' fantasma ( Vienna ), l' impoverimento degli amici più cari, l' indebitamento della propria casata, il confinamento nella propria dimora, dove ".. nel bel mezzo di una patria distrutta ci si addormentava in una fortezza..."
Ormai l' inconsueto diviene consuetudine, in una vita nata obbligatoriamente dalle ceneri di un passato vivo solo nella propria memoria.
Tutto è cambiato ed in Francesco Ferdinando si spalanca un abisso di disconoscimento, attutito da un riavvicinamento alla vecchia e malata madre e dal disperato tentativo di riconquistare l' amore di una moglie in fuga ( aspirante attrice ), idealmente e fisicamente rapita da una donna enigmatica e possessiva.
All' orizzonte l' impossibilità di ricostruirsi una vita per incapacità e negazione, di dedicarsi ad un lavoro, debiti ed ipoteche si accumulano e non resta che aggrapparsi a vecchie conoscenze, affetti lontani, ritorni insperati, attorniato da losche figure scomparse rapidamente al soffio di affari svaniti .
La cruda verità riporta il protagonista alla rivisitazione di un passato rimpianto ma fallimentare, a quella giovinezza vissuta con leggerezza e senza amore che si era cercato di correggere invece di iniziare una nuova vita dopo avere trascurato ciò che era più importante.
Ma ormai è tardi, i confini del proprio mondo sono spariti, polverizzati, come il proprio casato, non resta che il ritorno a quel quesito poco consolatorio, sbugiardato dal proprio triste destino, dopo che "...ogni faccenda privata ormai è passata nel regno di cio' che è pubblico..."
Scritto nel 1938 ( durante l' esilio di Roth in Francia ) " La cripta dei cappuccini " è un romanzo con una prosa ricca, fluente, intrisa di verità storica, come la descrizione dettagliata di un mondo lentamente ma inesorabilmente scomparso anche se gelosamente conservato nella memoria del protagonista, ma è anche una visione personale dell' autore che attinge al proprio vissuto ( tra giornalismo, viaggi, poesia, sogno, esilio ) per trarre un bilancio della propria vita ( morirà nel 1939 ).
Ne esce un affresco spietato, lucido, tristemente vero di un momento storico così importante unito a tratti di interiorità, memoria, poesia, tra cultura e religione, tormento e rassegnazione, in un flusso narrativo affascinante e riccamente vestito, sintesi del pensiero e della poetica di un grande narratore.
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Amo la letteratura mitteleuropea, e questo autore è fra i miei scrittori preferiti : considero "La marcia di R. ..." uno dei romanzi più belli sia dato leggere.