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I sogni infranti
La bomba che esplode nella tranquilla località di Old Rimrock nel New Jersey uccide una persona e distrugge un piccolo edificio che richiama un quadro di Hopper: un bazar e ufficio postale con un pennone dove il titolare ogni mattina issa orgogliosamente la bandiera americana. Un attentato che non comporta solo la fine del sereno percorso di vita di Seymour Levov (lo “svedese”), ma che è anche un segnale della caduta del “sogno americano”, del modello di vita che era stato invidiato e desiderato nel mondo anche da chi diceva di detestarlo.
Il conflitto generazionale, degenerato in uno spietato antagonismo della figlia Meredith, responsabile dell’attentato, nei confronti del padre, trova l’innesco nella guerra nel Vietnam e nei contrasti sociali che iniziano ad incendiare gli Stati Uniti. Fino allora Seymour aveva vissuto un’esistenza invidiabile, gratificato dal successo economico come imprenditore, dalla prestanza fisica che ne aveva fatto un brillante atleta del liceo, dal matrimonio con la bellissima Dawn Dwyer, miss New Jersey 1949, che ha sposato superando le resistenze del padre per le differenze di religione (lui ebreo, lei cattolica). Persona di assoluta rettitudine, ai limiti del conformismo, con un totale senso del dovere, aveva potuto vivere un’esistenza perfetta, tanto da non doversi mai chiedere “perché le cose sono così come sono?”, ignorando persino che ci si potesse porre tale domanda, si è trovato impreparato ad affrontare l’improvviso cambiamento della figlia, attirata dai movimenti di contestazione e dalla loro degenerazione nel terrorismo, provocando la crisi in una famiglia che appariva un modello del benessere americano.
Un dramma familiare cui fa da sfondo l’infrangersi di altri sogni: entra in crisi il sogno di uno sviluppo economico che sembrava senza limiti, poiché il peso dei conflitti sociali e razziali determina la delocalizzazione di imprese che lasciano macerie e zone di degrado, facendo decadere la fiorente economia della città di Newark; il tragico conflitto nel Vietnam incrina l’immagine degli Stati Uniti come modello di stato democratico e liberale, critico nei confronti della politica coloniale e imperialista di alcuni stati europei.
Si riprenderà dal frantumarsi del suo modello familiare lo “svedese”, con la caparbietà e la forza con cui usciva dalle mischie nel football, correndo verso la meta, ma il segno della ferita resterà indelebile, anche se non avrà il coraggio di parlarne quando incontrerà lo scrittore Nathan Zuckerman (alter ego di Philip Roth), per il quale aveva rappresentato un idolo sportivo quando era ragazzino e che ora dovrà costatarne l’assoluta normalità. Così come si riprenderà l’economia di Newark e il ruolo mondiale degli Stati Uniti, ma l’american way of live non sarà più il modello sfolgorante a cui si guardò dal dopoguerra agli anni sessanta.
Il Seymour descritto da Zuckerman sulla base di articoli di giornale, non è una biografia essendo in gran parte frutto della sua immaginazione; se tra flash back e capitoli di avvio il romanzo si svolge dal dopoguerra al 1995, la parte focale è ristretta in cinque anni, a partire dal 1968.
È un romanzo complesso “Pastorale americana” che pone al centro il lacerante, drammatico rapporto fra Seymour Levov e la figlia Meredith, con un approfondimento del suo dramma interiore, che unisce all'analisi psicologica anche interessanti spaccati di sociologia urbana e immagini di una società benestante che non sapeva cogliere ed interpretare le tensioni sociali in atto. Tuttavia non posso dire che lo stile di Philip Roth mi abbia entusiasmato. Da una parte il romanzo appare troncato nelle pagine conclusive, che racchiudono il dramma dell’episodio finale in poche righe, sommergendolo in una descrizione dettagliata della flora del New Jersey o nella banalità delle disquisizioni del vecchio Lou Levov. Dall'altra la straripante capacità narrativa di Roth riempie pagine di minuziose descrizioni (spiccano quelle sulle modalità di produzione dei guanti, attività di famiglia dei Levov) che se omesse o ridotte non avrebbero tolto alcun valore al romanzo e ne avrebbero alleggerito la leggibilità.
Per semplice assonanza mi trovo a confrontare il suo stile con quello dell’altro Roth, Joseph, essenziale ma incisivo, e a rinnovare tutta la simpatia ed il piacere di lettura provato per quest’ultimo.