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La vegetariana
 
La vegetariana 2017-01-05 08:26:23 Natalizia Dagostino
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    05 Gennaio, 2017
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Liberazione di donna

Leggo questo libro dalla copertina che mi seduce, scritto dalla coreana Han Kang, figlia d’arte. , potrebbe essere il sottotitolo di questa storia. Un uomo innocuo, pigro, ordinario, sposa una donna mite, modesta e pericolosamente lettrice. Yeong-hye è la moglie, “quasi una specie di fantasma, silenziosamente ostinato a restare dov’era”(p.17). I due non sono più innamorati e non avvertono neanche il calo del desiderio, rinsecchiti in un matrimonio senza figli, senza passione, senza e basta. L’unica mania della donna, sotto i vestiti, nessun reggiseno!

L’autrice descrive immagini di sangue, di carne che cuoce sui barbecue, vedo sulla pelle, sui vestiti, il rosso che cola dalla massa cruda molle e scivolosa. E la protagonista sente, con forza, “l’obbligo morale di non prendere più parte alla distruzione della vita.”(p.23).

È macilenta, pallida, stanca, compie di più di una scelta vegetariana, si abbandona ad una triste voglia di vivere, alla necessità di punire la propria carne. Malattia, nuova mentalità, diversa cultura? La mente equilibrata va di pari passo con un’alimentazione equilibrata? Un libro inno per vegetariani? Penso a una strada possibile di formazione, segnata da una animalesca disciplina fai-da-te, senza alcuna guida psicologica a curare la cultura, a proteggere le ferite dagli usi e costumi brutali di un passato primordiale.

Yeong-hye è un grumo di ribellione, un desiderio di liberazione, è essa stessa un diniego urlato attraverso il rifiuto di alimentarsi, è una voce muta contro le violenze intorno alla carnalità vivente. Tutta la famiglia è in agitazione, è preoccupata: bel tornaconto da ottenere per la protagonista, un utile riscontro, una sfida vinta con la protesta sistematica. Spesso, chi è carnefice con se stessa, è anche una vittima lagnosa. In alcune pagine, le situazioni descritte sembrano irreali ed estranee all’umano. In ogni vicenda narrata, la realtà rivendica con onestà la possibilità per Yeong-hye di risalire dall’ombra e di rivelarsi.

La donna compie un cammino duro, da autodidatta, con le viscere, con il sangue e il sudore, con i piedi, la lingua, le mani. Attraversa un inferno di coscienza verso l’autonomia di sé. Il dolore, anche fisico, si fa passaggio, apertura. Assisto alla generatività di ogni donna che si rimette al mondo, che rinasce con la fatica gioiosa di essere tutta intera, sola. Il plesso solare di Yeong-hye, bloccando il respiro, trattiene e ferma l’energia vitale, non muore, ma la ripulisce bruciando, oltre la macchia mongolica azzurra che segna il passaggio.

“Io non mangio carne”. Il messaggio è chiaro e risoluto: non fagocito, non uccido, non aggredisco, rinnego il potere e la violenza del comando e del controllo. Ancora una volta, l’arte e la bellezza come altari salvifici e trasfiguranti. È Yeong-hye l’animale mutante che sviluppa la capacità di svolgere la fotosintesi.

La via dell’éros per il mondo è solo follia. “Sorella...Tutti gli alberi del mondo sono come fratelli e sorelle” (p.143)

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Commenti

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Bella recensione.
"...pericolosamente lettrice" : splendida espressione ad interpretazione aperta.
grazie, Emilio, il romanzo merita attenzione
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