Dettagli Recensione
Disarmonica armonia e vagabondaggio domestico...
" Le cure domestiche ", primo romanzo della Robinson ( 1980 ), segna il suo ingresso a pieno titolo nella grandezza letteraria. Seguirà un lungo periodo di silenzio, ma il lascito della narrazione introduce tematiche care all' autrice ed approfondite nella succesiva trilogia ( " Gilead," " Casa ", " Lila").
Emergono nitidamente temi connessi alla famiglia, quel senso di sofferenza e solitudine che ricerca una risposta nella fede ( e non sempre la trova ) ed in un naturalismo che riporta ad una dimensione primaria dell' esistenza.
Fingerbone, cittadina del Midwest, è l' archetipo della vita, il segno della propria appartenenza. Non è mai stata una bella cittadina, ha un clima stravagante e spesso è sommersa da fiumi d' acqua. Vive il tragico ricordo di un disastro ferroviario ( in cui perse la vita il nonno di Ruth e Lucille). È " ... una città invasa dai diseredati, caratterizzata dalla solitudine, dal delitto e dallo zelo religioso del tipo più raro... "
Qui tutto inizia e finisce, si nasce e si muore, anche di morte violenta, si parte e si ritorna ( per i protagonisti ) alla ricerca di una identità smarrita o sconosciuta, di radici lontane immerse nelle nere profondità del lago che la circonda.
I suoi fondali nascondono segreti, corpi, oggetti, ricordi , vite strappate, ..." un passato che si è andato accumulando, che svanisce ma non svanisce, che perisce e rimane"... e "... guardando verso il lago si poteva pensare che il Diluvio Universale non fosse mai finito ..."
Le sue acque accendono l' immaginario ed il lago diviene creatura pulsante solo nei significati e nei ricordi, mentre la realtà ci mostra contorni secolari ed immutati.
Qui, un giorno, giungeranno due bambine, Ruth e Lucille, abbandonate dalla madre Helen, suicida nelle fredde acque del lago. Orfane, saranno accudite dalla nonna materna, guida generosa ed assoluta, con un amore totale ed equo, in attesa della zia Sylvie, sorella di Helen, invocata per " prendersi cura " delle nipoti dopo anni di precarietà e vagabondaggio.
Sylvie è una creatura stravagante, indipendente, solitaria, ama godersi le serate al buio, i suoi pensieri sono sempre altrove, ..."sente la vita delle cose morte..." , non ha coscienza del tempo ed ".... ogni storia che racconta ha a che fare con un treno o con una stazione degli autobus...." Si nutre di lunghi silenzi, esce la notte, vagando senza meta, parte e ritorna, sembra essere sempre interessata ad altro, non si avvede della realtà circostante.
Ruth e Lucille vivono un quotidiano che ignorano, hanno ..." passato la loro vita ad osservare ed ascoltare come chi è perso nel buio, sembrando disorientate e smarrite ...", e finiscono per scoprirsi diverse, con interessi e visioni contrastanti.
L' una si nutrirà di un mondo fatto di sogni specchiandosi in Sylvie, che si sostituira' a sua madre offuscandone il ricordo. L' altra odia la precarietà, si integrerà con il contorno e gli abitanti di Fingerbone e con quello che essi vedono, l' apparenza e la formalità.
Sarà questa apparenza ad evidenziare l' inadeguatezza di Sylvie, la sua incapacità ed impossibilità di occuparsi delle due bimbe e delle cure domestiche. Ma, per lei e Ruth una casa non esiste, prevale un desiderio di condivisione, di fughe notturne, percorrendo quel ponte che attaversa il lago, unite per sempre.
Ruth sa di essere diversa dall' altra gente da quando la madre l' ha abbandonata o forse nel momento in cui ha seguito Sylvie sul ponte, in fondo sono due vagabonde, che è uno stato dell' animo, "...una strada che non si può più abbandonare una volta imboccata.... ".
Con il tempo ci si abitua alla propria fragilità domestica, con una madre che alternava tristezza, rabbia, allegria, che ti ha abbandonato con indifferenza.
E se finalmente si riesce a creare un nucleo famigliare questo non andrebbe disgregato, distrutto, ogni solido legame umano crea uno stato di compiacenza, a cui agognano le persone solitarie, ed " ...avere una sorella ed una amica è come sedersi in una casa illuminata, soprattutto quando si è abituati al buio..."
Questa è la vera appartenenza di Ruth e Sylvie, la creazione e condivisione di un " proprio " focolare domestico, sorto dalle ceneri della memoria, sradicato dal contorno, in uno stato di nomadismo perenne, immerse nella natura aspra e selvaggia, che racchiude le forze del bene e del male, vera dimensione del proprio essere, una dimora evasa dal comune senso di luogo, spazio e tempo.
Il nostro sguardo sul quotidiano può essere velato, ..." tutto ciò che si presenta agli occhi non è che un' apparizione, un velo gettato sulle vere attività del mondo..." Siamo legati a ciò che siamo e siamo stati, quello è il nostro sogno.
Il tempo attutisce i traumi, ma le sensazioni rimangono, ed il dolore, la perdita e l' assenza di qualcuno ci racconta la sua storia, ci parla di lui in un modo che altrimenti non avremmo conosciuto (in riferimento ad Helen ).
Ogni partenza prevede un ritorno, quale verità è plausibile se non un' ipotesi da noi rappresentata, o solo un' idea, poco importa.
Merilynne Robinson ci ha consegnato un piccolo capolavoro, di grazia, stile, armonia e forza espressiva.
Nel frattempo, in un mondo di solitudine e dolore persistente, Ruth e Sylvie continuano a vagabondare, non viaggiano, semplicemente si spostano, confondendo sogni e pensieri, immaginando storie e vite altrui ( di Lucille ) possibili ma improbabili, accarezzando il naturale corso degli eventi dove persino il sapore dell' acqua ed il respiro dei ruscelli e dei laghi conservano tratti di umano sentire.
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