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Un uomo buono va alla guerra
Romanzo che si candida ad essere una delle mie letture migliori del 2016.
Evocativo, appassionante e, in un certo senso, “classico”, (molta Antigone in questa storia).
Storia di John Hunt, cowboy di mezza età nel maestoso e solitario Wyoming. Scorbutico, disincantato, profondamente ironico e…nero.
[LIEVE SPOILER
Chi mi ha suggerito questo libro, mi ha detto di un enorme “colpo di scena nelle prime pagine”… arrivata alla 70° senza traccia del medesimo chiedo lumi.
“Ma come! John Hunt è nero! Avresti mai pensato ad un cowboy nero?”
Ovviamente mentre ancora parlava a me è apparso Woody Strode (Cavalcarono Insieme, L’uomo che Uccise Liberty Valance, C’era una volta il West…) e quindi per me il colore della pelle di John Hunt non è stato affatto un “colpo di scena”; l’effetto “Il momento di uccidere” non l’ho avuto, ma ciò non ha inficiato per niente la bellezza di questo romanzo].
Jonh è vedovo (con più di un senso di colpa per la morte della moglie) e vive con un vecchio zio, Gus. Alleva cavalli, ma in realtà è più un etologo, vista la profonda conoscenza che ha degli animali e del loro comportamento. Ha un giovane lavorante, Wallace Castelbury, che, dopo poche settimane che è al suo servizio, viene accusato dell’orribile omicidio, a sfondo sessuale, di un giovane gay.
Il lavorante di John, un tipo semplice e piuttosto sprovveduto, appare subito estraneo al delitto, confesserà addirittura di essere stato innamorato della vittima. Non di meno la sua posizione si fa così critica che il ragazzo si suicida.
Gli eventi precipitano velocemente e John e Gus assistono al riemergere e al riacutizzasi di tensioni mai sopite: sessuali, razziali, sociali in una comunità che – tutto sommato – dimostra comunque un certo sensibile nucleo di umanità.
Perché questo romanzo è così bello?
Per come è scritto e per come sono i protagonisti. Perché è “western” in un certo senso.
Facile, con un tema così “spesso” scivolare nel politically correct, nel sentimentalismo o, peggio, nel machismo da giustiziere della notte.
Invece no.
C’è una presa di posizione molto forte e precisa dei protagonisti contro la violenza insensata (ovvero quasi tutta) che li porta tuttavia al dilemma di essere loro stessi violenti. A violare leggi umane per rispettarne, forse, di superiori (o inferiori, chissà).
Antigone, si diceva.
Ma non c’è machismo, non c’è politically correct, non c’è un filo di retorica.
Ma umanità a palate e non sempre bella, anzi, quasi mai. Ma qualche volta sì.
E il tutto è sorretto da una scrittura mirabile che si snoda passo passo e pagina dopo pagina in modo così asciutto e pulito da far pensare un po’ a Steinbeck (e sapete che io non pronuncio mai questo nome invano). E pure molto a Morrell (neppure questo). E c’è una natura incomparabile e tremenda che non resta sullo sfondo. E ci sono cavalli spaventati, cani fedeli e cuccioli di coyote a tre zampe.
E uomini buoni che vanno alla guerra.