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Divorzio a Buda
 
Divorzio a Buda 2016-11-24 05:15:23 68
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Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
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68 Opinione inserita da 68    24 Novembre, 2016
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Sogno e/o realtà, quale destino?


Talvolta un sogno può confondersi con un' ossessione ( d' amore ) e colorarsi d' altro, acuire paura, ansia, gelosia, fino ad una sorta di delirio, rafforzando un' ipotesi e costruendo una trama che determina ed indirizza ( senza possibilità di ritorno ) la realtà circostante.
Kristof Komives è un giudice integerrimo, marito fedele, padre di famiglia, di estrazione alto-borghese, è cresciuto con la legge, crede nella volontà, nel peso delle parole e da sempre ha tenuto a freno i propri istinti.
Ormai quarantenne respira una quotidianità fossilizzata, ingrigita da una pigrizia ordinaria, un lavoro estenuante, assilli famigliari protratti e una precaria fisicità, seguendo la tradizione ed una certa autorevolezza e sobrietà.
Vive nella città vecchia di Buda, ancorata ai propri ricordi, tra castelli ed antichi palazzi, così lontana da Pest, città moderna, peccatrice, industriale, modaiola.
Un giorno, suo malgrado, sarà chiamato a deliberare in merito ad una causa di divorzio che coinvolge il medico Imre Greiner, amico di vecchia data, e la moglie Anna Fazekas, conosciuta e frequentata sporadicamente parecchi anni prima, quando era ancora in età da marito.
La sera che precede l' udienza, in una lunga ed interminabile notte, Imre irromperà nella sua abitazione riportando un passato rimosso, confessando un presente inquietante in attesa di un futuro quanto mai vago e nefasto.
La narrazione resta sospesa in qualche oscuro luogo della memoria, in un' atmosfera divisa tra sonno e veglia, ragione e sentimento, attendendo una possibile sentenza.
La perfezione apparente di una vita costruita sull' ovvietà di certezze consolidate svanisce, sostituita da supposizioni, da uno strano senso di vergogna, dalla progressiva noncuranza verso volti famigliari irriconoscibili, dalla ripetitività di gesti consumati, abbandonandosi ad una realtà parallela, a rimpianti, a sensazioni forse vissute o solo immaginate.
Quel passato che pareva annullato, dimenticato, superato, riemerge vivido con il ricordo e le certezze di chi ci accusa di una colpa non commessa, se non in una pura dimensione onirica e di latenza.
Allora tutto potrebbe essere stato solo un sogno, o un desiderio rimosso, o una semplice speranza.
Ma i sogni sono sempre e comunque l' espressione di un desiderio ?
Ogni notte è popolata da incubi e, specchiandoci negli occhi altrui, possiamo leggervi verità sconcertanti. Forse la nostra sofferenza e lo sguardo affranto su una vita siffatta presagiva questo futuro nascondendo una possibile colpa.
Eppure continua ad esserci ed a prevalere quello che siamo, o che gli altri vedono in noi, un giudice imparziale, custode della legge e della ragione, mentre la realtà si presenta viva, cruda, asettica, inclemente.
Il momento si prolunga in un thriller, l' attesa diviene certezza, la confessione espiazione, di fatto solitudine protratta.
Alla fine, sottratta ad un soffio liberatorio, la coscienza di Kristof veleggia incupita da una mente malata, dubbiosa, ma la notte svanisce nell' alba, il sonno nella veglia e il sogno nella realtà di cui occuparsi.
Forse, in cuor suo, si fa strada l' idea di una qualche colpevolezza, in una realtà altrimenti scongiurata da regole ed equilibrio perché Imre Greiner ha evidenziato la semplice necessità di amare qualcuno negando la cosiddetta " isoritmia " coniugale ( propria ma anche di Kristof ).
La felicità e l' amore stanno nell' imperfezione di un gesto, talvolta è preferibile esprimere qualcosa senza una precisa intenzione, quasi per caso, distrattamente.
Marai ci consegna un piccolo gioiello, di introspezione, suspance, psicologia, confondendo tracce e memoria, affrescando la quotidianità di un uomo inseguito dal proprio destino, tormentato dalla voce della coscienza, da un quid che sfugge a lui stesso, prolungando l' attesa in un dialogo notturno che è confessione e ricerca, sovvertendo ruoli e personaggi, reale ed immaginario, colpevoli ed innocenti.
È una scrittura precisa, introspettiva, profonda, che dosa parole e significati, in una chiarezza e semplicità sconcertanti. La fine di questo iter mentis ci lascia sfiniti, dubbiosi su un viaggio in prevalenza ipnotico ma, per certi aspetti, tremendamente reale.
Nel frattempo una sola certezza, la notte è finita e comincia il giorno, un altro giorno.

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Commenti

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Bella recensione, Gianni.
Anche a me è piaciuto questo libro. Marai è un autore che leggo molto volentieri. Però i suoi libri più belli, secondo me, sono "Le braci" , "La donna giusta" e "La sorella".
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