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Una fantomatica ricerca di se stessi
Lui, lei e l’altro tra le sabbie del Sahara. Port Moresby e la moglie Kit vagano per il Nordafrica accompagnati dall’amico George Tunner, in un viaggio senza meta e senza limiti di tempo che li differenzia dai comuni turisti, pronti a tornare a casa in capo a qualche settimana. Loro invece si definiscono viaggiatori, perché non appartengono a nessun luogo, non hanno fretta e non hanno obiettivi precisi. Il gruppo si muove secondo un itinerario stabilito alla giornata, tra sabbia e insetti, tra città fatiscenti e culture diametralmente opposte, trovandosi coinvolto in un intreccio di amore e tradimenti, di noia e diffidenza, di fatalismo e insoddisfazione. La coppia attraversa un momento di profonda crisi, l’indifferenza sembra aver preso il posto dell’amore, la presenza del terzo incomodo pare essere studiata apposta per dare una svolta alla situazione. Ma la svolta arriverà da un’altra parte e sarà la morte a portarla. Port sarà stroncato da un letale attacco di febbre tifoidea e questo evento scatenerà in Kit un turbine di sentimenti contrastanti che la porterà a vivere con arrendevolezza e confusione una serie di tragiche avventure. Le atmosfere magiche del Magreb, le distese sabbiose bruciate dal sole, la brillante idea, tipicamente Beat, del viaggio senza meta sono gli elementi di maggior interesse in un libro che fatica a catturare il lettore con una trama poco coinvolgente e personaggi che, crogiolandosi nella noia, nell’ozio, nella passività, non riescono a trasmettere la giusta empatia. Non aiuta di certo, in questo senso, l’atteggiamento dei tre protagonisti e degli altri occidentali che entrano nella storia, di rifiuto, avversione, totale diffidenza nei confronti della cultura del luogo, le continue lamentele riguardanti il cibo, le condizioni sanitarie, l’indole delle popolazioni indigene. Tanto che viene da chiedersi: come mai non sono rimasti a casa loro? Lo stesso autore, pur ambientando l’intero libro in terra magrebina, non approfondisce mai neanche il più banale aspetto delle tradizioni e della civiltà del mondo arabo, concentrandosi soltanto sui caratteri occidentali di protagonisti snob e viziati che sembrano viaggiare, vivere, amare soltanto per inerzia, con un’indolenza e un’apatia deplorevoli, impegnati in una fantomatica ricerca di se stessi che non li porta da nessuna parte. “«Pensavo che la vita fosse qualcosa che andasse via via acquistando slancio. Anno per anno sarebbe diventata più ricca e più profonda. Uno imparava sempre più, diveniva via via più saggio, aveva maggiori capacità di introspezione, si addentrava sempre più nella verità…». Esitò. Port rise bruscamente. «E ora sai che non è così. Vero? E’ piuttosto come fumare una sigaretta. Le prime boccate hanno un sapore meraviglioso, e non pensi nemmeno che possa mai esaurirsi. Poi cominci a darlo per scontato. D’improvviso ti rendi conto che si è consumata quasi tutta, e proprio allora ti accorgi che in fondo sa di amaro»”.
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