Dettagli Recensione
Agrodolce
Lo stile limpido, elegante senza pedanteria, è la prima cosa che salta agli occhi nel romanzo, variegato come un poncho peruviano e più complesso di quanto appaia ad una lettura superficiale.
Nella vivace città di Lima degli anni Cinquanta ci accompagna a capitoli alterni la voce narrante di Mario, studente e giornalista di una radio dove si rabberciano bollettini.
Il ragazzo, alter ego dello scrittore, si innamora di una zia acquisita più anziana di lui, in un'atmosfera di leggerezza che persiste anche quando i fatti, causa il contrasto iniziale della famiglia, assumono toni un po' più drammatici (tra l'altro, si accenna appena alla dittatura militare del periodo).
Gli altri capitoli, paralleli al filone principale in buona parte autobiografico, sono dedicati ai romanzi radiofonici, storie politicamente scorrette, dal sapore forte e dai toni roboanti, scritte a ritmo continuo da Pedro Camacho, personaggio buffo, misantropo, geniale, un fiume in piena che finirà per essere travolto dalla sua stessa ispirazione.
Le storie tengono il pubblico incollato alla radio - la loro fama oltrepassa i confini del Perù - e catturano anche il lettore, in un gioco ironico e autoironico che lo scrittore conduce con maestria, buttando alla fine, con un vezzo letterario un po' snob, tutto in caciara.
Un vago rimpianto per ciò che era e non è più (l'amore, la dignità di un uomo), malgrado sia attenuato da divertito distacco e a tratti persino rimosso, emerge inequivocabile nelle ultime pagine, chiudendo il cerchio di un romanzo agrodolce come il Pisco, liquore delle valli costiere di Lima.