Dettagli Recensione
La "bambina" dello zoo di Berlino
L'ho fatto.
Per la prima volta nella mia vita ho riletto un libro...
Ed ho scelto di rileggere "NOI, I RAGAZZI DELLO ZOO DI BERLINO" dopo ben 27 anni.
Un po' per poter poi leggere il suo seguito e un po' per confrontare l'impatto che questa lettura ha avuto su di me a 13 anni e poi a 40.
Avevo il ricordo di una lettura "shock", di quelle che ti travolgono in pieno come se fossi a piedi in mezzo all'autostrada...ebbene, nonostante gli anni, la maturità, l'esperienza di vita...mi sono ritrovata nuovamente inerme, a piedi, al centro di quell'autostrada.
Perché quello che viene raccontato qui non scende a patti con l'età, non si è mai abbastanza grandi, né preparati, né pronti per accettare tanto degrado, squallore, sofferenza e disagio.
I "ragazzi" del titolo...in realtà sono poco più che bambini!
Ero troppo piccola alla mia prima lettura? Non credo, anzi...io lo farei leggere a tutti i ragazzini, tutti.
Su di me ebbe l'effetto, allora, di farmi aprire gli occhi su un mondo sconosciuto (e tale poi è rimasto, fortunatamente), di mettermi in guardia non tanto dalle sostanze stupefacenti in sé, quanto proprio dai meccanismi sociali e psicologici che portano al loro avvicinamento.
Cambiano i contesti, cambiano le droghe, cambiano i ragazzi, ma il "modus operandi" di quel mondo marcio è sempre lo stesso.
Disagio famigliare, noia smisurata, profonda mancanza di senso esistenziale e desiderio di far parte del "gruppo" (anche se è il gruppo sbagliato, quello dei perdenti)...questo è alla base di questo docu-libro, questo è quello di cui ci parla Christiane.
Poi intervengono tanti altri fattori e dinamiche (che non basta una vita per analizzarle tutte)...ma la verità è che tutto questo ha una portata così grande, così al di sopra della mia capacità di comprensione, che io ho davvero difficoltà ad esprimere un pensiero.
Meno che mai un giudizio.
Posso solo fare tesoro di questa cruda testimonianza, prendere atto della continua dicotomia tra voglia di riscatto e rassegnazione, voglia di vivere "alla grande" e desiderio di morire, di arrivare presto al fatidico "buco finale".
Sì perché l'inganno è tutto lì...l'euforia sparisce presto e rimane solo la dipendenza.
"Farsi"...non più per stare bene, per sballarsi, ma solo per non stare male!
Si procede velocemente verso una depravazione emotiva, ma soprattutto "deprivazione" emotiva: i bucomani sono terribilmente soli, perdono ogni forma di empatia, esistono solo loro e la loro pera.
Quello che mi ha davvero toccato è stato il dualismo di questa ragazzina, il suo sdoppiarsi continuamente in bene e male: c'è una parte molto significativa del libro in cui lei racconta di scrivere delle lettere a se stessa, ovvero "Christiane", la buona, la brava ragazza, scrive a "Vera" (suo secondo nome), la eroinomane, la bucomane, la baby-prostituta.
È una lotta continua fra le due...ma la più forte, inutile nasconderlo, non sarà mai Christiane!