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Genesi 22
Da Genesi 22 la parola più disturbante di tutta la Bibbia:” Eccomi”, detta da Abramo (nome il cui significato è ”Padre Grande”) a Dio, quando gli chiede la prima volta di sacrificare il suo unico figlio e la seconda di salvarlo. Per l’autore questa parola sembra significare il desiderio di essere una persona sola, integra. Un tutt’uno da offrire al mondo, non un soggetto diverso, in base alle circostanze della vita o alle persone con cui si interfaccia. Perché le nostre molteplici identità le viviamo in un equilibrio precario, che in ogni momento può saltare.
In tutto il romanzo si trova un'incompatibilità tra l’ideale, i valori, la ricerca di libertà e la prassi quotidiana. Di sottofondo il tendere a qualcosa che non c’è: trattare la vita domestica, quotidiana, fatta di piccole cose, come se fosse solo una distrazione o un ostacolo rispetto alla felicità. Sempre presente il dibattito tra la felicità personale e la propria realizzazione (ideale a cui tendevano i nostri padri) e la felicità dei figli e della famiglia, per i quali molti di noi sono disposti a sacrificare quasi tutto (nel futuro dei nostri figli vediamo e cerchiamo la nostra redenzione). Mai come oggi i figli sono considerati dei "pari" e sono presi in considerazione per molte delle decisioni famigliari, anche quelle importanti.
Foer (Abramo), in questo libro, da buon ebreo, insegna ai propri figli che bisogna essere coinvolti nelle cose del mondo e che affari di famiglia e questioni globali si intrecciano irrimediabilmente. Per questo alla crisi famigliare di Jacob e Julia si intreccia la crisi politica e sociale di Israele e dello Stato ebraico.
“Eccomi” è un romanzo in cui ogni argomento allude a un altro, in un intrecciarsi continuo che ci porta a riflettere su singole parole o frasi intere, ad annotare, sottolineare, pensare. Ha molta politica al suo interno, ma non esprime una specifica idea politica. Questo romanzo è quello che io considero un vero e proprio arricchimento culturale, personale e spirituale.
In questi ultimi anni sono irrimediabilmente attratta da libri e romanzi di scrittori ebrei: Yehoshua, Oz, Grossman, Roth e ora Foer (sarà un caso che gli ebrei costituiscano lo 0,2% della popolazione mondiale e abbiano ricevuto il 22% dei Nobel al mondo?)
In ogni caso, l’argomento principale, al di là del sottofondo politico e religioso è la famiglia, caposaldo di molteplici religioni (tra le quali anche quella cristiana ed ebraica) e nello specifico il disgregarsi di un matrimonio quasi ventennale. Il processo di disgregazione viene chiamato “unlearning”, disimpararsi. Accade quando il corpo dell’altro, che prima è un territorio sconosciuto da esplorare con emozione, diventa indifferente, solo la copia sbiadita di qualcosa che in passato ci aveva fatto vibrare. Questo probabilmente, pensandoci a ritroso, quando ormai tutto è finito, avviene perché non abbiamo saputo apprezzare le cose semplici, di tutti i giorni e probabilmente erano quelle la vera essenza delle felicità. Forse non le abbiamo sapute trattenere e a un certo punto le abbiamo lasciate andare, per sempre, senza via di ritorno.
“Come aveva fatto la somma di tutta la presenza a trasformarsi in assenza?», scrive Foer. E in quel disimpararsi c’è tutto lo strazio di un amore che finisce, quando si pensava fosse per sempre. Ma forse è proprio il “per sempre” il problema: è la monogamia a essere una perversione.
Jacob, come Abramo, alla fine riesce a dire "eccomi" anche alla sua coscienza, quando gli chiede di lasciare andare Argo per non vederlo soffrire. Pensa a lui e al suo bene, ad alleviargli la sofferenza, prima di pensare alla propria di sofferenza, che sicuramente vivrà a causa della mancanza del suo amato cane, l'unico essere umano che gli è rimasto vicino.
Un romanzo da non perdere, per chi ha voglia di affrontare temi importanti, senza superficialità.
"Il genere umano si salva non perché meriti di essere salvato, ma perché la rettitudine di pochi giustifica l'esistenza di altri";
"L'infanzia va bene. Il resto è tutto un trascinare le cose";
"Baratti l'ambizione emotiva con la compagnia";
"Più i genitori vogliono che i figli vedano, più è difficile che ce la facciano, perché l'amore si mette in mezzo";
"È' troppo amore per essere felici..."
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