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Male assoluto e metafora del quotidiano.
Lester Ballard è piccolo, sporco, ha la barba lunga, nelle sue vene scorre sangue di sassoni e celti, si muove nella natura selvaggia con impacciata ferocia, quasi fosse una fiera. Ma in realtà non è altro che un figlio di Dio come tutti noi, forse.
La sua è una progressiva discesa agli inferi, senza ritorno, abbandonando quel residuo di civiltà che gli era appartenuto, deluso e ghettizzato, in un isolamento progressivo e simbiosi con gli elementi naturali, dopo avere perso il poco che aveva. Si occultera' in una tetra caverna, costretto a cacciare per nutrirsi ed a vivere di espedienti.
Sarà l'inizio di una serie di inspiegabili e feroci delitti, mimetizzatosi nell' orrore da lui stesso creato, senza un briciolo di " umanità " ne' un significato se non quella ferocia e quel " male " che sgorga improvviso da dentro ma che è da sempre parte di se' e del mondo.
Ballard si farà predatore seriale, implacabile, mimetico, trasformista, necrofilo, calato dalla montagna come un lupo affamato, di rabbia, solitudine, vendetta, morte.
Il contorno, in quel sud rurale del Tennessee dove persino il paesaggio è feroce e la neve copiosa rivela progressivamente combattimenti e scene di morte, è una comunità che si nutre anch' essa di violenza e di eccessi, talmente " normali " da divenire quotidianità.
La linearità descrittiva si fa circolarita', concatenazione violenta, la nausea compagna di viaggio, l' assenza di compassione respiro profondo ed una fusione, di protagonisti, vicende, descrizioni, paesaggio, si trasforma in apocalisse.
Il male esiste, in noi e tra noi, l' autore si astiene da qualsiasi giudizio, costruisce una narrazione a più voci, piccoli pezzi di storia narrati dai singoli abitanti della comunità, un racconto asciutto, dettagliato, un puzzle infernale, e quella caverna che sa di indagine psicologica, rifugio, museo degli orrori, scatola della memoria.
La voce che parla a Ballard non è un demone, ma un vecchio io perduto che torna di tanto in tanto in nome della ragione mentre la sua ombra scivola scura e mutevole, pronta a colpire.
Non resta che l'azione, cruda, cruenta, inspiegabile ed il senso sta nel non chiedersi quale esso sia, a travolgere e racchiudere tutto, in primis noi lettori, scioccati da tanto furore ma ammagliati da cotanta forza espressiva, da un respiro trattenuto e sospeso, travolti da una discesa agli inferi in un precipizio psichico e fisico, risucchiati dall' io del protagonista, nelle viscere della terra, mentre le storie dell' inverno trascorso tornano alla luce come se il tempo riavvolgesse e restituisse un passato nefasto.
Questo romanzo non è considerato all' apice della produzione di McCarthy, tuttavia la sua forza espressiva e i tratti definenti sono indiscutibili, personalmente ho amato quella discesa agli inferi che mi ha ricordato il Kurtz Konradiano, in quella vita di orrore vestita, metaforicamente simbolo di un Male più grande e terribilmente vicino.
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Dell'autore ho letto solo "La strada" : un libro bello ma non confacente ai miei soggettivi gusti letterari, per cui ho temporaneamente lasciati in disparte l'autore.