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Il senso di una fine
 
Il senso di una fine 2016-10-06 09:07:28 Dod
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Dod Opinione inserita da Dod    06 Ottobre, 2016
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L'accumulo del tempo e il suo senso

La recensione contiene qualche spoiler.

Ognuno di noi vorrebbe essere il proprietario esclusivo del proprio tempo; un tempo in cui gesti, eventi e persone riflettono l'immagine che vogliamo trovare di noi stessi. Julian Barnes ci affascina con una storia particolarmente profonda e introspettiva, mettendo il lettore dinanzi alla difficile comprensione del senso del proprio esistere e che porta ogni uomo a riconoscersi “soggetto”, cioè artefice e al tempo stesso vittima, della storia che vive.
A offrire la base di una simile riflessione troviamo la storia di un uomo qualunque. Tony Webster è una persona non più giovane, appartenente al ceto medio, con alle spalle un matrimonio fallito dal quale ne è uscito senza grandi sconvolgimenti interiori e che si è ritrovato a vivere in una generale tranquillità priva di entusiasmo e passione. È un uomo – come sottolineato da lui stesso – senza qualità che si ritrova a subire lo scorrere del tempo senza essere arrivato a concludere e far memoria di alcunché di particolarmente significativo, tranquillo nella sua “attitudine all’autoconservazione”.
È questo uomo mediocre a trovarsi inaspettatamente a riflettere sul senso del suo tempo e del tempo in generale. Una lettera in cui gli viene annunciato il lascito di cinquecento sterline e del diario di un compagno di classe portano Tony – e il lettore con lui – a scavare nella memoria, riportandolo ai febbrili anni dell’adolescenza con il loro desiderio di libertà, di cambiamento e di passionale amore. Barnes, tramite la memoria del Tony adulto, tratteggia rapidamente e con sorprendente efficacia l’animo del Tony giovane, le sue ambizioni, i suoi desideri sessuali e la sua forte infatuazione (potremmo osare e chiamarlo amore) per una ragazza, Veronica, mentre i febbrili anni Settanta si affacciano sulla sua vita senza intaccare pienamente il sistema in cui vive.
L’attenzione si sposta ora su Tony, ora su Veronica, ora su Adrian, il nuovo, brillante studente a cui viene permesso di entrare nel terzetto di cui fa parte il protagonista.
A guidare questa prima appassionante parte del libro rimane sempre il tempo e la riflessone sulla capacità che l’uomo ha di individuarne un senso e di comprendere gli eventi del mondo e delle persone che li vivono e li subiscono. Seguendo le disquisizioni scolastiche di Adrian, il lettore di interroga sull’irrisolvibile conflitto tra l’interpretazione oggettiva e soggettiva della storia, tra la comprensione obbiettiva, puntuale, scientifica di quello che accade e la necessità di passare tramite molteplici mediazioni umane che reinterpretano continuamente e dimenticano l’accaduto: “Dobbiamo conoscere la storia di chi scrive la storia, se vogliamo comprendere la versione degli eventi che ci viene proposta”. In questo gioco sta tutto il libro di Barnes.
L’inspiegabile suicidio di Adrian, “tragica scomparsa di una Giovane Promessa”, e la lettera dell’avvocato in cui si comunica il lascito del diario segnano lo spartiacque tra la prima e la seconda parte del libro. Da questo punto, la storia, precedentemente “raccontata dal testimone che è sopravvissuto”, crolla sotto i colpi di una nuova narrazione, presentata sempre dallo stesso Tony, ripresa e smascherata come il tentativo fatto dal protagonista di considerarsi innocente e privo di responsabilità per quanto è accaduto.
Lo svelamento degli eventi del passato ha l’effetto di un lento e progressivo shock (di Tony e del lettore con lui). Il ritrovo di Veronica, dopo quarant’anni di silenzio, rompe il filo di perle con cui Adrian ha rinchiuso la sua identità, il suo amore per Veronica, il suoi rapporti con la madre di lei, i rapporti con Adrian e il suo suicidio si sfilacciano.
Il tentativo di padroneggiare il tempo e di nasconderlo, simboleggiato dall’immagine dell’ “orologio con il quadrante sull’interno del polso”, fallisce.
A rimanere, soprattutto dopo l’imprevista (forse un po’ azzardata) fine del libro, rimangono i frammenti della propria identità, ma anche la domanda sulle nuove responsabilità che si sono dimenticate, “la fine di ogni probabilità che qualcosa nella vita cambi” e l’accumulo del tempo che si apre all’inquietudine.

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