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Il processo
 
Il processo 2016-09-21 15:05:51 StefanoTecchi
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
StefanoTecchi Opinione inserita da StefanoTecchi    21 Settembre, 2016
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Naturalmente assurdo

“Il Processo”



Il Processo (1925), così come Il Castello (1926) e America (1927), sono romanzi usciti dopo la morte dello scrittore (1924), anche se nel testamento letterario dello scrittore, affidato all’amico Max Brod, veniva chiesto di bruciarli. Tutti e tre questi romanzi sono rimasti incompiuti

Il Processo di Franz Kafka uscito postumo (1925), narra la storia di Josef K. impiegato bancario che sarà accusato di un reato non specificato. L’interna vicenda ruota attorno a questa accusa e vedrà il protagonista cercare in tutti i modi di essere assolto. Le ambientazioni in cui vedremo muoversi il protagonista sono luoghi chiusi, oscuri e con un’aria irrespirabile, (come l’aula del tribunale, i solai sparsi per la città dove si trovano le cancellerie del tribunale, la stanza dell’avvocato e lo studio del pittore) in più di un’occasione il protagonista si sentirà schiacciato da questi ambienti lugubri.
Inizialmente Josef K. non si occuperà troppo del processo ritenendolo futile, infatti continuerà a svolgere le sue attività sia lavorative che sociali. Con lo svilupparsi della trama vedremo il protagonista sempre più preso dal Processo, dopo l’incontro con suo zio, che è venuto a sapere di questo processo a carico del nipote, K. incontrerà l’avvocato (Huld) che lo aiuterà nella causa. Dall’avvocato come da altri personaggi tra cui il pittore Titorelli, il protagonista si recherà per ricevere aiuto e consigli sulla sua causa, ma le lunghe digressioni, con questi personaggi, che dovrebbero fare chiarezza sulle procedure del tribunale, lasciano sempre, sia al lettore che al protagonista, un senso di frustrazione; infatti nonostante nel dialogo con l’avvocato e il pittore venga dimostrato che ogni stranezza della causa ha una spiegazione, nulla viene realmente chiarito, così la logica è costretta a girare a vuoto.
Il protagonista, assieme al lettore, si perderà all’interno di questo processo, che diventerà la sua unica preoccupazione.
Si resta così bloccati e perduti nell’insieme di questi avvenimenti naturali per il protagonista, ma assurdi per il lettore. Questo è il punto di forza di questa storia, tutto ciò che succede dall’accusa mai specificata contro Josef K., ai dialoghi con i personaggi, fino al finale risulta essere tratto con una naturale assurdità.
Per catturare così il lettore Kafka sperimenta l’assenza di un narratore, difatti non ci sarà all’interno del romanzo nessun intervento chiarificatore da parte dello scrittore. Infatti il narratore è il protagonista stesso, tutto quello che succede viene descritto dal punto di vista di Josef K., di conseguenza il lettore non sa e non vede più di quello che sa e vede il protagonista. Ed è grazie a questa tecnica che i testi di Kafka hanno una costante capacità di turbamento sul lettore, che si sente accerchiato e schiacciato, come K.
In definitiva è un romanzo che consiglio, ha un stile piacevole e scorrevole e tutto è continuamente avvolto nell’incertezza, che fa sembrare tutto naturalmente assurdo. Non cercherò di dare una spiegazione delle intenzioni dell’autore, ci sono molte interpretazioni, che vanno dal senso di colpa dell’uomo ad una denuncia sociale, ma Kafka ha un utilizzato un simbolo ed i simboli molto spesso vanno oltre quello che uno scrittore si è prefissato.

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Complimenti, Stefano, per la scelta di lettura e la recensione. I classici non deludono (quasi) mai.
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