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Il codardo abbandona sempre sè stesso
John Grady Cole, il cugino Rawlins e per un po' il piccolo e disperato Blevins viaggiano dal Texas al Messico. Metà del secolo scorso.
A cavallo.
Da soli.
Hanno dai 13 ai 17 anni.
In compagnia dei cavalli, numi tutelari del libro e del non-focolare dei ragazzi.
Succederanno loro molto cose che McCarthy descriverà con prova asciutta e pulita a tratti puntigliosa (unica sbavatura nel pre-finale la preparazione del viaggio con il capitano messicano, ma potrebbe essere colpa della traduzione).
Da buon western, pochi dialoghi, ma in assoluto fra le parti migliori, e grandi "vecchi" in particolare la Zia e il giudice finale. Non è facile descrivere la malia di questo libro, quindi lascerò la parola all'autore per qualche assaggio.
Il primo è una descrizione, si trova a pagina 82 (ed. ET Einaudi, 1996), asciutta e visiva come poche:
"Blevins, in mutande, sul grande baio e inseguito dappresso da una muta di cani ringhiosi, esplose in strada attraverso una pioggia di schegge sfondando un recinto di ocotillo."
Il secondo è un pezzo del monologo della Zia (pag 235), che ha il merito di dare la (mia) definizione esatta di coraggio:
"Molto prima dell'alba compresi che stavo cercando di mettere a fuoco una cosa che sapevo da sempre, ossia che il coraggio è una forma di costanza e che per prima cosa il codardo abbandona sempre sé stesso."
Il terzo è un frammento del passo d'addio di John Grady Cole e Rawlins (pag 297)
- Penso che me ne andrò via
- Questo è ancora un buon posto per viverci
- Sì, lo so. Ma non è il mio.
Epico.
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Commenti
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Ho pescato questa recensione un po' vecchiotta e mi è subito venuta voglia di riprenderlo :)
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