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Anni di gesso
Nonostante un incipit tra i meno accattivanti che io ricordi (due pagine in linguaggio volutamente notarile che fanno da prologo) “La simmetria dei desideri”è un romanzo caldo, accogliente, coinvolgente, che dà tanto e dispiace moltissimo finire.
Si parla degli “anni di gesso”, come più volte vengono definiti dall’autore, ovvero quel periodo tra i venticinque e i trenta durante il quale la vita inizia a ingabbiarsi in un corso definito, si compiono scelte importanti e le amicizie devono fare i conti con la perdita dell’incertezza spensierata e con i nuovi legami famigliari.
I protagonisti sono quattro ragazzi israeliani nati e cresciuti ad Haifa, ma trasferitisi a Tel Aviv per inseguire le tipiche aspirazioni di indipendenza, libertà e vita nella grande metropoli. Non c’è una vera e propria trama, ma solo alcuni punti di riferimento che fanno da filo conduttore. Anche lo stile è originale, apparentemente inconcludente, ma in realtà capace di avvolgerti con cerchi concentrici e di procedere un po’ avanti negli avvenimenti e un po’indietro con i ricordi, divertendo e non annoiando, e mettendo in risalto le caratteristiche di una bellissima amicizia, nella quale è bandita ogni reticenza e si rivelano con sincerità le cose belle e quelle brutte, il divertimento e la noia, il chiasso e il silenzio, l’avventura e la paura, il gioco e la fatica, l’amore e il tradimento, l’ammirazione e l’ invidia, gli scherzi, i litigi, il cazzeggio, la presenza, la lontananza, e soprattutto l’esserci sempre e comunque per il tuo “fratello”.
Il racconto procede calmo, coerentemente con il self-control di Yuval, il componente del quartetto che racconta in prima persona, riuscendo ugualmente a sorprenderti, come il flusso della vita. Il coach di scrittura creativa di Yuval lo rimprovera per il silenzio riguardo all’epoca in cui si svolgono gli eventi. “Descrivi i cambiamenti nei tuoi personaggi, ma ignori quasi completamente i cambiamenti drammatici avvenuti nel tempo e nel luogo di cui racconti”. Yuval giustamente si ribella e rivendica invece come titolo di merito aver lasciato sullo sfondo, come pallida eco, i rumori dell’intifada, degli attentati, delle bombe, le immagini del servizio militare, dei territori occupati, dei posti di blocco. Tutto questo si intravede ma è fuori dal romanzo, il lettore lo sa e anche per questo percepisce un’unione ancora più salda tra i quattro amici, rafforzata dal contesto drammatico in cui vivono.
A proposito di quartetto, di contesto drammatico e di geometrie. Nella serie TV Braccialetti Rossi, un personaggio teorizza che per formare un gruppo sono indispensabili: il leader, il bello, il furbo e l’imprescindibile. E naturalmente la ragazza. Nel nostro caso sappiamo che Churchill è il leader (anche chi non ha letto il romanzo può immaginare che quel soprannome non è dovuto a sigari o doppio mento, ma ad altre caratteristiche), Yuval (l’io narrante), è l’imprescindibile, ovvero il membro del gruppo senza il quale il gruppo stesso si sfalderebbe. Glielo dice chiaramente Churchill: tu sei il collante, lo sei sempre stato. Senza di te, Tel Aviv è un sacco di cose brutte, con te è casa. Yaara è naturalmente la ragazza. Ofir, per i suoi riccioli e per la facilità con la quale cattura lo sguardo delle ragazze dovrebbe essere il bello. Per esclusione, Amichai dovrebbe essere il furbo. Ma, per le caratteristiche del personaggio, lo definirei piuttosto il saggio (e meno male perché i parallelismi troppo perfetti tolgono poesia).
Non toglie affatto poesia invece la simmetria a cui allude il titolo del libro: alla fine lo ricorderete come un romanzo tenerissimo, che non fa nulla per sedurvi, eppure vi attrae per un forte profumo di autenticità, quella stessa autenticità indispensabile nelle vere amicizie.
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