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Un ritratto disperato di sè stesso e del mondo
Il taccuino è costituito da note (“Notes of a dirty old man”) che Bukowsky fece pubblicare nel 1969 e che apparivano in una rubrica settimanale tenuta dall’autore su un foglio underground di Los Angeles, Open City, allora con buon numero di vendite e un discreto successo. La raccolta è una selezione di annotazioni apparse in circa 14 mesi: sono divagazioni su una delle grandi passioni di Bukowsky, le corse dei cavalli e le relative scommesse, gli incontri con scrittori e poeti dei suoi tempi, esperienze varie di vita, dai lavori precari che terminavano regolarmente con il licenziamento, ai litigi con i padroni di casa, il tutto condito da solenni ubriacature, avventure con donne di ogni risma, litigi furiosi che lo vedevano quasi sempre soccombere. Una vita disperata, tra sogni di grandezza e miserie quotidiane, visioni oniriche e desideri di morte, sempre in lotta impari con il becero conformismo, la stupidità e la cattiveria dell’uomo, l’ipocrisia gretta del potere costituito. E’ indubbiamente un grande autore, che ha lasciato un segno forte nella letteratura del secolo scorso, un autore che potrà non piacere a tutti ma che ha caratterizzato con il suo stile informale e senza censure morali un’epoca storica. La sua visione disperata del mondo (“Il mondo fa di noi uomini dei pazzi, e perfino i santi sono dei dementi, non si salva niente. Così vaffanculo”) è comunque sempre mitigata da una vena ironica di commiserazione per sé e per gli altri, che lo aiuta a sopravvivere ed a “liberare” la sua anima, che solo accanto ad un’altra “anima libera” trova un senso di profondo benessere.