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Lennie e George
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1937 e tradotto da Cesare Pavese per Bompiani nel 1938, “Uomini e topi” è insieme a “Furore” una delle opere più note di John Steinbeck. Liberamente ispirato alla vita di un paio di personaggi e ad un episodio vero accaduto nel 1920, l'elaborato narra le vicende di due uomini, George Milton, e, Lennie Small, accomunati da un sogno; quello di acquistare un podere.
Originariamente il testo fu pensato quale un dramma ( da qui una prima ipotesi di titolo in “Something that Happened”) perché nella sua concezione questo avrebbe dovuto riportare la vita di tutti i giorni, una realtà incastonata nella California del Primo Dopoguerra che si sarebbe semplicemente incentrata sui fatti e non sulle valutazioni relative al “come” una determinata circostanza “avrebbe potuto essere”.
Lennie, gigantesco e forte uomo dall'animo tenero, gentile e la mente di un bambino, e George, lavoratore stagionale, vigile, svelto e che in tutti i modi cerca di evitare che il primo finisca nei guai, sono idealmente “un tutt'uno” e il tragico finale rappresenta la conclusione del sogno di acquistare il terreno in cui vivere in pace, riproduce ancora la volontà di risparmiare una sorte ignominiosa all'altro ed ulteriormente segna l'accettazione della cruda realtà, la sconfitta.
Altro personaggio chiaramente esplicativo di quella che è la verità americana del periodo storico è senza dubbio Crooks, il garzone di stalla di colore con la schiena spaccata (da qui il nome) e che vive in nel ripostiglio dei finimenti perché i lavoranti non lo vogliono nella loro baracca. E' un uomo altero, riservato, dedito alla lettura, è colui che rappresenta la componente intellettuale della narrazione. Significative le sue parole:
«“Io non sono un negro del sud” disse. “Sono nato qui in California. Mio padre aveva un allevamento di polli, circa dieci acri di terra. I ragazzi bianchi venivano a giocare da noi, e qualche volta andavo io con loro, e ce n'erano di simpatici. A mio padre ciò non piaceva. Non capii mai, se non molto più tardi, perché non gli piacesse. Ma ora ho capito”. Esitò e, quando riprese a parlare, la sua voce si era addolcita. “Non c'era un'altra famiglia di colore nei dintorni, per miglia e miglia. E anche ora non c'è nessun uomo di colore in questo ranch, e una sola famiglia in tutta Soledad. Si mise a ridere. “Quando dico qualcosa, è solamente un negro che parla”. [..] “E' solamente un negro che parla, un negro storpio. Non significa proprio niente, capite? Ma tanto non vi ricordereste. Quante volte ho visto succedere che uno parla con un altro e non importa proprio niente che quello senta o capisca. Il fatto è che parlano, oppure stanno seduti e non parlano. Non importa niente, proprio niente. »
“Uomini e topi” è una novella breve che si propone di essere un'allegoria di quella che la condizione umana e del destino inevitabile di taluni individui che, seppur di buona volontà, finiscono con l'essere travolti dagli eventi senza che di fatto ci sia un perché. L'autore parte dal presupposto che il mondo va avanti e che in esso esistono delle costanti e delle varianti nel comportamento di ciascun suo abitante. Il componimento è dunque espressione di un gesto di ribellione contro la sorte di tanti disgraziati, vittime dei pregiudizi e dell'ingiustizia.
Steinbeck adotta uno stile colloquiale, diretto, realistico. Oltre che alla cronaca degli eventi egli descrive in modo inoppugnabile quella che è la condotta di ciascun uomo. Dà rilievo a tutte le circostanze, a tutti gli avvenimenti poiché questi, anche se apparentemente casuali, sono in realtà parte di un disegno più grande.