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Come un cane!
Interpretato allegoricamente in un’infinità di prospettive, ora interconnesse ora contrapposte, questo romanzo incompiuto, pubblicato postumo nel 1925 dall’amico Max Brod e divenuto uno dei capisaldi della letteratura moderna, ben riflette le inquietudini che travagliavano Kafka. Vi ritornano infatti immagini e riflessioni che ricorrono altrove nella sua produzione, nonché nei diari ed epistolari; e si tratta di suggestioni di varia natura (religiose, esistenziali, filosofiche, letterarie, storico-sociali), il che ha favorito il pullulare di interpretazioni sostanzialmente equipollenti.
“Come può essere colpevole un uomo?”
Quando in una mattina qualunque Josef K., un comune impiegato bancario, viene inspiegabilmente arrestato da due uomini in divisa, presentatisi a casa sua senza alcun preavviso, ha inizio la sua affannosa corsa nel surreale. Una corsa tesa a scavare e a districarsi nelle profondità dell’enigma irrisolto della condizione umana. Sempre indefinita rimarrà la colpa di cui K. è accusato, eppur sempre presente a gravare sulle sue spalle. Sempre indefinita rimarrà la somma autorità del Tribunale, che sembra muovere i fili degli accusati senza ragione. Sempre indefinito rimarrà il ruolo degli altri uomini e delle altre donne che compaiono nel romanzo a dar il loro misterioso contributo alla vicenda di K. E sempre indefinito rimarrà lo stesso protagonista, sospeso tra le sue contraddizioni, mai indagate romanticamente ma trasparenti dalle sue azioni.
Nel suo forsennato e claustrofobico tentativo di ricondurre tutto alla razionalità e all’oggettività, K. rivela tutta la drammaticità della situazione degli uomini. Nel corso della storia, lo stupore dell’innocente viene costantemente a scontrarsi con la realtà di un’atavica colpa, la ricerca di un ordine col dispiegarsi dell’insensato. Il tentativo di difendersi dunque lascia gradualmente il posto alla consapevolezza di una condanna già pronunciata. Non c’è per l’uomo possibilità di un’assoluzione completa, preclusa dalla sua stessa razionalità che gli impedisce di abbandonarsi ad assoluti; al più egli può aspirare a un’assoluzione apparente o al differimento: e se la prima non è che il vano trionfo dell’effimero, dell’istante, in un eterno ritorno alla drammatica oscillazione del pendolo tra colpa e assoluzione, l’altro non è che quasi un pascaliano divertissement, una continua lotta contro i mulini a vento, altrettanto tragica nella sua umanamente nobile, ma pur sempre vana perseveranza. La spinta vitalistica, poi, che vuole anestetizzare la coscienza di K. non attecchisce mai del tutto, anzi viene in ultima analisi sconfitta dalla scelta di vita nichilistica; una scelta difficile, ma l’unica rimasta possibile a chi sa di esser già stato condannato a morire come un cane, per il solo fatto di esser nato uomo.
Lo stile essenziale e disadorno, a tratti faticoso a leggersi nell’apparente e grottesca insignificanza, è attentamente ricercato dall’autore, che giunge così a scarnificare anche con la parola l’esistenza. Non è lasciato il minimo spazio alla liricità o al soggettivo, tutto è volto alla spersonalizzazione e all’oggettività, in un vuoto razionale che raggiunge l’akme della sua sconfitta nella cruenta ed impietosa scena finale. Kafka prosegue sulla strada della modernità inaugurata dal romanzo di fine Ottocento legandola alla propria angoscia esistenziale. L’indugio talvolta espressionistico nelle descrizioni, nella gestualità o in motivi liberi prettamente allegorici marcano l’alterità tra il linguaggio e la vita, tra l’ordine e l’insensato. Il linguaggio non risulta mai adeguato a cogliere o a descrivere il reale sconosciuto: del resto per lo stesso Kafka risultò a lungo impossibile contemperare la sua vita personale con la sua vita da scrittore, vissuta come un mondo altro rispetto a quello reale ma mai del tutto distaccato.
Commenti
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Concordo con te sulle valutazioni assegnate : la piacevolezza della lettura non eguaglia assolutamente la qualità, molto alta, dell'opera.