Dettagli Recensione
Al femminile
Nel panorama letterario internazionale spiccano le opere di autori israeliani: David Grossman, Yehoshua A. B., Amos Oz, solo per citare i più noti, ai quali si affianca la voce femminile di Zeruya Shalev che con all’attivo cinque romanzi, un libro di poesie e una pubblicazione per bambini, risulta essere una delle autrici contemporanee di lingua ebraica più lette al mondo.
Le premesse per leggere un suo libro ci sono tutte, anche se non si conosce il più famoso “Quel che resta della vita”, il titolo dell’opera ultima e la breve trama riportata in quarta, incuriosiscono al punto giusto.
Il romanzo catapulta il lettore nella vita di Iris, direttrice scolastica, quarantacinque anni, un marito e due figli. Una mattina come tante, nel salone di casa, prima di essere inghiottiti dalla quotidianità, Michi, il marito, ricorda distrattamente a Iris il decimo anniversario dell’attentato che per poco non la strappò alla famiglia. Improvviso si sveglia il dolore, dapprima fisico, prepotente, violento- sarà necessario ricorrere a consulto medico- poi dell’animo, ferito e non guarito da uno strappo emozionale violento subìto in piena adolescenza. Il medico che la visita si rivela essere il suo Eitan, il primo amore, colui che la abbandonò di punto in bianco, smessi i sette giorni di lutto per la morte della madre assistita amorevolmente anche da Iris. Il riconoscersi, il cercarsi, il tentativo di recuperare il tempo ormai perduto per sempre sono i motivi conduttori della narrazione, abilmente intrecciati alla rappresentazione di un quadro familiare in decadenza. Il rapporto tra i coniugi è solido ma intristito da radicate posizioni che li portano a essere due esseri in perenne lotta, i loro due figli, un maschio e una femmina in piena adolescenza, complicano il quadro con le loro urgenze, le loro identità, i loro percorsi di crescita. La famiglia ha subìto, tutta, l’attentato, ne è stata travolta, sconvolta, a fatica si è rimessa in piedi e si è trascinata. Sono rimasti sull’asfalto, insieme alle vittime, sentimenti ed emozioni: l’urgenza li ha cancellati, cristallizzati e nessuno comunica. Tutto è taciuto, tutto è vissuto, tutto è perduto. Un grande pericolo corso dalla figlia maggiore permette infine il recupero, non del passato- è andato-, ma del presente come attimo da vivere nella sua pienezza senza necessariamente catapultarsi verso il futuro.
La narrazione si avvale di uno stile fluido, a tratti ironico, ricco dell’emotività femminile e delle sue fragilità. Colpisce la capacità di penetrare nel profondo dell’animo della protagonista, ci si sente partecipi delle ansie, delle paure, del delirio di onnipotenza che talvolta ci assale mettendo al tappeto noi stesse e chi ci gravita attorno. Io almeno mi ci riconosco, purtroppo. Belle le fragilità e la potenza della donna e della madre. D’altro canto la narrazione scorre liscia e prevedibile verso il finale che risulta armonico e pacificatore strappando anche qualche facile lacrima. Complessivamente una bella storia ma come tante in circolazione; pochi i riferimenti socio- culturali , a parte qualche veduta sul sistema scolastico israeliano che è descritto di riflesso e restituisce un ritratto all’avanguardia, e rari cenni alla delicata situazione politica e all’integrazione del mondo arabo con quello ebraico. Avrei gradito uno spessore maggiore, in questo senso.
Lo consiglio sicuramente a tutte le donne, è una scrittura decisamente al femminile.
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