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Nell'arte la salvezza di Roquentin
“La nausea” di Jean Paul Sarte, pubblicato nel 1938, è un romanzo filosofico. Esso infatti altro non è che il mezzo artistico attraverso il quale l’autore espone la sua teoria e la sua interpretazione dell’esistenzialismo. Si tratta di un romanzo complesso, strutturato come un diario, in cui il protagonista, Roquentin, giovane intellettuale, racconta con dovizia di particolari la sua vita quotidiana in una città di provincia, Bouville. È l’inconciliabilità tra il suo io e il mondo esterno che genera in Roquentin una profonda crisi esistenziale. Egli avverte l’assurdità e l’estraneità di tutto ciò che gli sta intorno: l’avverte nelle azioni ripetitive che compie quotidianamente, nelle persone che incontra e con le quali stabilisce contatti superficiali e transitori, nei luoghi che frequenta e nei quali trascorre gran parte del suo tempo. Roquentin ci conduce nella biblioteca cittadina in cui conosce l’Autodidatta, personaggio straordinario, ricco di umanità, relegato ai margini di una società discriminatrice e omofoba, l’unico con il quale il protagonista riesce a fare una conversazione di un certo livello culturale, sia pure di breve durata. Ci conduce poi nel Ritrovo dei ferrovieri, dove viene a contatto con una borghesia mediocre, di cui descrive l’aspetto e gli atteggiamenti. L’esperienza psicologica che ne deriva genera in lui quella che egli definisce come “nausea”, come ,cioè, il risultato di una acquisita consapevolezza dell’inutilità dell’esistenza dell’uomo. La nausea nasce dunque dal conflitto tra l’essere e il nulla, tra l’io pensante e il resto del mondo, e non è un caso che lo stesso Roquentin citi Cartesio : “Quando avevo vent'anni mi sborniavo e poi spiegavo che ero un tipo sul genere di Descartes.” Cartesio, dunque, il cui pensiero è alla base dell’esistenzialismo, con la sua distinzione tra “res cogitans” e “res extensa” è costantemente presente in questo romanzo.
Ecco infatti il pensiero di Roquentin : “ Sono, esisto, penso dunque sono; sono perchè penso, e perché penso? Non voglio più pensare, perché penso che non voglio più pensare, sono perchè penso che non voglio essere....” E più avanti: “ Sorge la casa, esiste; ......davanti a me il muro esiste...le cose esistono le une contro le altre...” E poi nelle parole rivolte all’Autodidatta : “ Penso che siamo tutti qui a bere e a mangiare per conservare la nostra preziosa esistenza e che non c'è niente, nessuna ragione di esistere.”
Eppure attraverso la compilazione del suo diario, Roquentin giunge gradualmente alla conoscenza di sé e alla consapevolezza di essere mosso dalla volontà di superare la nausea che lo attanaglia e dare uno scopo alla propria vita. Un cammino verso l’impegno, dunque, che vuole essere impegno civile, politico e artistico. In questa prospettiva sono estremamente significative le ultime pagine del romanzo, nelle quali Roquentin abbandona il suo lavoro di biografo storico e decide di dedicarsi alla scrittura di un romanzo, perché è solo attraverso la creatività dell’arte che l’intellettuale può sperare di dare un senso e di mettere ordine nel caos della propria esistenza.
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Ho letto questo libro quando non avevo la maturità per leggerlo. Più che la nausea ricordo la noia provata. Nessuna voglia di rivederlo.
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trovo la tua recensione molto utile!