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Recherche la place
La vita di un padre vista con gli occhi e le emozioni di una figlia. Due realtà che si pongono a confronto, che si scontrano nel perenne bisogno di vincere quel debito determinato dal peccato originale del semplice esistere, quel desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, la redenzione per quella colpa, per quella posizione sociale meno abbiente, dove le regole sono dettate dal continuo ed incessante costruire, che tanto si scontra con quella realtà borghese in cui la figlia finisce con il ritrovarsi col suo lavoro di maestra, con i suoi anni di studio. Un riscatto sociale voluto ma anche temuto, un riscatto sociale che è sinonimo di allontanamento, di perdita per la consapevolezza che quelle strade che un tempo erano unite sono destinate a non incontrarsi più. L’istruzione quale linea di demarcazione di un affetto.
Annie Ernaux, francese (Lillebonne, Senna Marittima) classe 1940, con “Il posto” offre al lettore un’opera che oscilla tra “il romanzo breve” e il “lungo racconto”, un testo che è ricco di immagini, ricordi, flash back di piccoli gesti e/o espressioni, un insieme di parole che fanno da leva e da colonna portante per ricostruire il mosaico di quella figura che il padre rappresentava, un uomo che con le sue mille sfaccettature ma anche con la sua pura e semplice realtà di essere umano dedito al lavoro e alla dignità, spesso risultava essere un’entità inconcepibile, intangibile, sfuggente. Perenne quel senso di impotenza per quella condizione di povertà, talché nulla ha a significare la sua scalata sociale, il fatto che egli sia stato prima contadino, poi operaio ed ancora gestore di un bar-drogheria. La miseria iniziale sopravvive e si coltiva nel mancato insegnamento, un qualcosa che tra l’altro ardentemente desiderava amando particolarmente imparare e a cui è stato inevitabilmente strappato perché c’era “bisogno nei campi”.
Uno scritto quindi che, con le sue 107 pagine, arriva al lettore per contenuto, riflessioni ma anche stile narrativo. L’autrice è solida, diretta, schietta, disincantata, nel descrivere quell’esistenza prevedibile ma non per questo scontata ed elementare, tanto che nulla risparmia a quel genitore, nemmeno dopo anni dalla morte. E come non rivedere nelle scelte del patriarca di non aderire ad alcun sindacato o partito, nel voler costantemente risparmiare per rinnovare e mantenere attivo il suo negozio per poi riuscire a porre in essere quelle migliorie “in stile moderno” alla facciata proprio nel momento in cui tutti gli altri esercizi tornavano al vecchio, “al rustico”, (chiaramente beffati dalla sorte), uomini che hanno fatto la storia d’Italia.
Considerato un classico moderno, “La place” (titolo originale) è una storia forse non indimenticabile ma sicuramente capace di far pensare al passato con occhi dell’oggi e dello ieri, una vicenda che con le sue taglienti parole invita a capire qual è il proprio “Il posto” in quella società in cui si è sempre chiamati a combattere per quelle domande e ricerche costanti e proprie di ciascun individuo.
«La realtà dimenticata della sua condizione l’ho ritrovata in personaggi anonimi incontrati qua e là, portatori a loro insaputa dei segni della forza o dell’umiliazione»
«Imparare ad essere felici della propria sorte»
«L’uomo attivo non perde un minuto, e alla fine della giornata risulta che ogni ora gli ha portato qualcosa. Il negligente, al contrario, rimanda sempre la fatica ad un altro momento; si addormenta e si distrae in ogni occasione, tanto a letto che a tavola o durante una conversazione; il giorno volge al termine e non ha fatto niente; i mesi e gli anni passano, arriva la vecchiaia, è ancora al punto di partenza»
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Ultimamente ho molto sentito parlare di questa autrice che ancora non conosco. La tua valutazione non è entusiastica, per cui mi conviene attendere.
Ma ribadisco, è solo la mia mera opinione. Magari se letto al momento giusto o da animi diversi può suscitare emozioni completamente opposte :-)
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