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Misere esistenze di divinità fuori moda
La buona e la cattiva notizia.
La buona è che – dopo tre anni scontati in cella per una condanna a sei – Shadow è destinato ad uscire dal carcere con due giorni di anticipo. La cattiva, come gli riferisce il direttore del penitenziario, è che i due giorni gli vengono “condonati” perché la moglie è morta in un incidente stradale quella stessa mattina.
La buona e la cattiva notizia come in una di quelle barzellette ciniche che ogni tanto qualcuno si diverte a raccontare.
Tutto azzerato. Un uomo che negli ultimi tre anni non ha avuto una vita e per i prossimi si trova senza la sua unica ragione di vita. E ora? Da dove ricominciare?
Da un amico che può dargli lavoro, magari. Ma non c'è lavoro se non c'è più l'amico: morto nello stesso incidente d'auto in cui è morta sua moglie. Semplicemente perché i due erano amanti.
Amicizia, fedeltà coniugale, una possibilità d'impiego... tutto sembra crollare. Se non fosse per Wednesday, l'omone che – chissà come – sembra conoscere tutta la storia. Che apre gli occhi a Shadow su ciò che è accaduto mentre lui era in carcere. Che pare determinato a prenderlo al proprio servizio.
Ma chi è l'onnisciente Wednesday? Davvero è la moderna incarnazione del dio Odino?
“Il dolore è dolore anche per quelli come me. Se ti muovi e agisci nel mondo materiale, il mondo materiale agisce su di te. Il dolore ti fa soffrire, esattamente come l'avidità intossica e la lussuria brucia. Magari non moriamo facilmente ed è più che certo che moriamo male, comunque moriamo. Se siamo ancora amati e ricordati qualcosa che ci assomiglia parecchio prende il nostro posto e tutta la stramaledetta storia ricomincia daccapo. Se veniamo dimenticati siamo finiti.”
“American gods”, al netto dei suoi sottintesi, è la storia del rapporto tra uomini e dèi, storia di venerazione o di scollamento. E' dalle umane paure che originano gli dèi, dal bisogno di affidarsi a qualcosa di “alto”; prosperano nella miseria, nella prevaricazione, nell'insopportabile violenza subita dagli uomini per mano di altri uomini. Dèi antropomorfi ma dalla testa di animale, dèi di “nuova generazione” o la cui memoria si situa agli albori dell'umanità, dèi irascibili, miserabili, incattiviti, desiderosi di vendetta verso chi li ha dimenticati, o in guerra con altri dèi...
In questo panorama, Neil Gaiman si diverte a dipingere l'America come una sovrapposizione di culti e devozioni che hanno visto un apice e un tramonto, tante quanti i popoli che sono approdati sulle coste del Nuovo Mondo. Con un'inquietante morale: le vecchie divinità sono “superate”, ridotte all'arte di arrangiarsi, disinnescate da idoli immateriali (il denaro prima degli altri) assurti al ruolo di deità definitive. In una desolante corruzione che, alla fine, è quella dell'uomo.
Un ritmo narrativo particolare, quello di Gaiman, che nei passi più esilaranti ricorda Bukowski, e in quelli più “astratti” il Murakami onirico (pur con meno poesia). Ma il romanzo non “sfonda”: il promettente inizio si diluisce nella perenne fuga di Shadow tra i diversi luoghi americani - spesso famosi, come il monte Rushmore – e riprende il suo filo solo nella parte finale, quando l'imponente protagonista assaggia la mortalità degli dèi, alla quale non credeva, e si scopre pronto a sacrificarsi per il suo nume/datore di lavoro.
Le parti migliori, alla fin fine, si rivelano gli interludi e le parentesi storiche sui culti “portati” in America dalle successive ondate migratorie delle diverse civiltà. Un America meticcia come nessuno Stato prima e dopo. Meticcia persino nelle sue divinità.
“Ci piace essere rispettati e venerati, a me piace che raccontino storie sul mio conto, storie in cui risalti la mia intelligenza. E' una debolezza, lo so, sono fatto così. Ci piace essere importanti. In questi tempi bui invece non contiamo niente. Si assisterà alla nascita e alla caduta di altri dèi. Comunque questo rimane un paese che non tollera a lungo il divino. Brahma crea, Visnù conserva, Shiva distrugge, e il terreno è sgombro perché Brahma possa ricominciare daccapo.”
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Commenti
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Un romanzo accattivante nonostante le due incongruenze, un testo da annotare.. Grazie del suggerimento :-)
Fino al prossimo luglio tenterò di riprendere i vecchi ritmi. Un abbraccio.
Ho trovato Il Philip Roth ironico ("Il grande romanzo americano", ad esempio) più godibile, Cristina. Forse è per questo che non mi è venuto in mente come termine di paragone.
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